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Gotha. La ‘ndrangheta di ieri e di oggi

L’incontro

(Claudio Cordova, Gotha, PaperFirst, 2019, pp.378, 16€)

Si è tenuta il 13 febbraio 2020 al Collegio Universitario Santa Caterina da Siena la presentazione del libro Gotha (PaperFIRST, 2019) del giornalista Claudio Cordova, che nell’occasione ha dialogato con Mario Andrigo, Sostituto Procuratore della Repubblica di Novara, e Lorenzo Bagnoli, giornalista de Il Fatto Quotidiano. Durante l’incontro si è cercato di approfondire lo stretto legame esistito ed esistente fra ‘ndrangheta, mondo politico-giudiziario e società civile. Cordova, che ha all’attivo la pubblicazione di libri quali Terra venduta. Così uccidono la Calabria (Laruffa, 2010) e Il sistema Reggio (Laruffa, 2013), è stato definito da Bagnoli “il traduttore per non calabresi delle vicende di mafia”.

 

Tanti boss, un’unica organizzazione

(Da sinistra: Mario Andrigo, la rettrice del Collegio Santa Caterina da Siena Giovanna Torre, Claudio Cordova e Lorenzo Bagnoli)

Fra le innumerevoli sfumature della ‘ndrangheta vi è innanzitutto l’articolata organizzazione interna: il famoso summit di Montalto tenutosi nel 1969 sancisce per la prima volta l’unitarietà ‘ndranghetista, riunendo allo stesso tavolo personaggi come Junio Valerio Borghese (noto alle cronache come il “principe nero” che nella notte fra il 7 e l’8 dicembre 1970 tentò un vero e proprio golpe allo Stato), Stefano delle Chiaie (legato anch’egli al golpe Borghese, alla strage di piazza Fontana e a quella di Bologna), Pierluigi Concutelli (terrorista e militante neofascista).

Proprio in quell’occasione divenne chiaro come la ‘ndrangheta non fosse più un fenomeno circoscritto alla sola Calabria, ma data la provenienza di molti di questi esponenti dalle più diverse regioni italiane, stesse diventando un’organizzazione ramificata ed estesa all’intero territorio nazionale. Non fu infatti un caso che i timer, ritrovati a seguito dell’esplosione della bomba di piazza Fontana, avessero meccanismi molto simili a quelli utilizzati dalla ‘ndrangheta calabrese. Ormai nord e sud Italia erano uniti dalle stesse modalità criminali.

 

Un ‘ndrangheta per tempi nuovi

Cordova ha ricordato inoltre l’importanza storica della prima guerra ‘ndranghetista, durante la quale fu eliminata la prima generazione di boss mafiosi, per far spazio alle regole di quella nuova: se precedentemente avere a che fare con “le divise” (intendendo con questo termine i magistrati, i preti e ogni sorta di professionista) era considerata un’infamia gravissima, ora diveniva d’obbligo incrementare il proprio potere attraverso le immunità e i traffici di denaro sporco.

Le famiglie dei De Stefano e dei Piromalli si fecero portavoci negli anni Settanta di questa nuova strategia, traghettando la ‘ndrangheta verso i traffici di droga e intercettando nuovi metodi di illeciti guadagni. Come dimenticare poi il ruolo svolto dai calabresi nella stagione stragista culminata con l’uccisione dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e iniziata avendo come principale obbiettivo l’Arma dei Carabinieri?

Gaspare Spatuzza, membro di Cosa Nostra e divenuto poi collaboratore di giustizia, a seguito dell’uccisione di due carabinieri avvenuta in circostante poco chiare in Calabria disse che “i calabresi si erano già mossi; ci dovevamo muovere pure noi”, segnalando così il ruolo di capofila svolto dagli ‘ndranghetisti in quel periodo di attacchi al mondo delle istituzioni e ai difensori dello Stato. Cosa Nostra però continuerà imperterrita in questa carneficina, arrivando a colpire nel profondo la magistratura italiana, ma al contempo attirando su se stessa i riflettori dei media. La ‘ndrangheta, invece, capendo che tutto ciò non avrebbe fatto altro che indebolire l’organizzazione, decise di smarcarsi perché, come dissero i capi dell’organizzazione

 

“non avevamo motivo di uccidere un magistrato: lo potevamo comprare o delegittimare”

 

Una fine e un nuovo inizio sono possibili?

Molte le domande che riecheggiano relativamente al futuro di questa organizzazione criminale. Secondo Cordova i tentativi rivolti a disarticolare l’aspetto organizzativo e militare della cosca e le continue aggressioni ai suoi inestimabili patrimoni finanziari sono tappe necessarie ed urgenti, che in taluni casi hanno già portato ad arresti e incarcerazioni. Il fenomeno tuttavia non cesserà fin quando a cambiare non sarà l’atteggiamento culturale nei confronti della ‘ndrangheta e fin quando non emergeranno le connivenze con il mondo politico. Se da una parte infatti la popolazione non si sente rappresentata dallo Stato e cerca rifugio e protezione da parte dei boss, dall’altra gran parte delle persone ritengono ancora che tale organizzazione sia solamente una questione meridionale, ignorando gli innumerevoli traffici illeciti che collegano la Calabria a tutta l’Italia e al mondo intero.

 

 

Francesca Giacobino