Happee Birthdae, Harry Potter: la saga del “bambino che è sopravvissuto” compie 25 anni
L’incipit di questo articolo sarà una confessione. Ho comprato il primo volume della saga di Harry Potter solo per dimostrare a un amico che avevo ragione io: non mi sarebbe mai potuta interessare un’opera fantasy.
Decisa inizialmente a non andare oltre il primo, quando ho chiuso le pagine di Harry Potter e i Doni della Morte avevo ormai imparato che i pregiudizi di lettura sono inutili e che classificare questi libri sotto il genere fantasy è oltremodo riduttivo.
Non sono stata, però, l’unica a fare un errore di valutazione. La saga più fortunata dell’editoria contemporanea non ha ricevuto da subito i consensi di cui gode oggi.
Prima di essere J. K. Rowling, nel 1990 Joanne non si considera un’autrice; anzi, non lo è affatto. Le piace leggere e da bambina ha scritto una storia, ma non ha velleità artistiche fino a quando, su un treno che da Manchester la riporta a Londra, non viene fulminata dall’idea di un bambino che scopre di essere un mago. Nello stesso periodo, la sua vita cambia in modo drastico: sua madre muore prematuramente e lei quasi scappa in Portogallo, dove inizia a insegnare inglese e scrivere la prima versione di Harry Potter e la pietra filosofale nei bar locali. Torna nel Regno Unito nel 1993 per trasferirsi dalla sorella in Scozia. Soffre di depressione e ha gravi difficoltà economiche, ma continua il suo romanzo. Scrive a mano la prima stesura, poi batte a macchina il manoscritto. Il testo viene considerato ultimato nel 1996, quando l’autrice inizia a cercare un agente letterario; dopo un primo rifiuto, Joanne invia i primi tre capitoli del romanzo all’agenzia letteraria Christopher Little. Qui Bryony Evans, lettrice interna alla casa editrice, apprezza il primo capitolo e lo inoltra a Fleur Howle, lettrice freelance. Anche il giudizio della collega è positivo e pochi giorni dopo la Rowling riceve una lettera in cui le viene chiesto il resto del manoscritto. La versione ufficiale è che sia stato rifiutato da ben dodici case editrici. Il primo impulso è chiedersi come sia possibile non aver fiutato un caso editoriale di tale portata, ma la verità è che giudicare il successo di un libro a priori è impresa ardua e, come scrive Gian Carlo Ferretti, la vita delle opere nelle diverse case editrici è una «compensazione tra un editore e l’altro, tra il rifiuto più o meno sbagliato dell’uno e l’accettazione più o meno giusta dell’altro».
Il rifiuto del manoscritto in realtà è dettato da parametri precisi: l’opera è considerata più lunga del necessario e dalla trama fin troppo complessa per i più piccoli.
“The Independent” riporta le parole di Nigel Newton, presidente di Bloomsbury, che così commenta il volume: «Il libro è lento ad iniziare. Anche i giovani lettori che sono diventati dei devoti fan di Harry Potter lo hanno ammesso all’inizio. Probabilmente non lo ammetterebbero ora, ovviamente». Nonostante le reticenze, è proprio la neonata Bloomsbury ad acquisirne i diritti.
Il 26 giugno 1997 Harry Potter e la pietra filosofale arriva nelle librerie sotto lo pseudonimo di J. K. Rowling, perché l’agente letterario pensa così sia più facile arrivare ai lettori di ambo i sessi.
La prima edizione inglese è cartonata senza sovraccoperta, sul piatto di prima appare una fascetta nera con su scritto «“A terrific read and a stunning first novel” Wendy Cooling». L’illustrazione, realizzata da Thomas Taylor, è quella di un giovane Harry davanti all’Hogwarts Express. La tiratura iniziale considera cinquecento copie, di cui trecento sono risucchiate dal sistema bibliotecario britannico.
Dieci anni dopo, nel luglio 2007, la prima edizione americana del settimo volume, I Doni della Morte, sbaraglia ogni record editoriale con una tiratura di dodici milioni di copie; il colosso Amazon lancia il pre-order del libro sei mesi in anticipo, arrivando a vendere più di due milioni di copie prima dell’effettiva uscita.
A rendere la saga così famosa è stato un passaparola febbrile, gli stessi fan hanno generato un ronzio d’assenso che ha raggiunto anche lettori non abituali. Fermandosi ai dati del 2018 si contano cinquecento milioni di copie in tutto il mondo con traduzioni in ottanta lingue.
Quest’anno la casa editrice Bloomsbury ha deciso di celebrare il quarto di secolo del maghetto più famoso della letteratura con due edizioni speciali a tiratura limitata, disponibili sul mercato dal 9 giugno 2022.
La prima ripropone in copertina la storica illustrazione di Taylor e all’interno presenta contenuti extra –- come lo stemma di Hogwarts originale, disegnato a mano –- per i più nostalgici e per chi è curioso di sapere cosa è successo in venticinque anni.
In prima di copertina è presente il bollino argentato con saetta che rievoca i 25 anni della saga.
La seconda versione, completa di bollino e contenuti extra, prevede invece una copertina illustrata da Johnny Duddle che mostra Hagrid mentre accompagna lo storico trio di maghetti a scuola.
Sono due edizioni che guardano ai veterani e ai nuovi lettori, facendo leva sull’impatto emozionale dei fan accaniti e sulla curiosità dei nuovi arrivati.
Ma a cosa è dovuto il successo su cui molti non avrebbero scommesso? È doveroso riconoscere che nessuno degli editori che nel 1995 si trova di fronte il manoscritto avrebbe potuto conoscere o prevedere l’evolversi della saga, ma J. K. Rowling ha dimostrato negli anni che l’universo di Harry Potter supera i confini del fantasy: è un romanzo di formazione che affronta valori universali quali l’amore, l’amicizia, il dolore e la morte, le difficoltà che crescere comporta e lo fa all’interno di un mondo strutturato e coerente che è scheletro della narrazione.
Harry Potter ha fatto compagnia a tantissimi lettori e ne ha stupiti molti altri rivelandosi una lettura con cui crescere e grazie alla quale crescere. Saranno d’accordo i lettori più fedeli che forse tutti avrebbero bisogno di sentirsi dire, di fronte a un dubbio increscioso: «Sono le scelte che facciamo, Harry, che dimostrano quel che siamo veramente, molto più delle nostre capacità».
Silvia Rodinò