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La maternità, l’Abruzzo, l’arte dello scrivere: breve dialogo con Donatella di Pietrantonio

di Daria Luzi

“Essere mamme non è un dovere; non è nemmeno un mestiere: è solo un diritto tra tanti diritti”. A scriverlo è Oriana Fallaci e può accadere, leggendo “L’arminuta”, che queste parole tornino alla mente di chi le ha già sentite. Se la maternità è un diritto, si può scegliere di rinunciarvi? Potrebbe averlo creduto la donna che, nel romanzo di Donatella Di Pietrantonio, affida la figlioletta appena nata agli zii perché la crescano tra gli agi e nel contempo sollevino lei dal peso di un’altra bocca da sfamare. Potrebbe averlo creduto la zia, madre acquisita, quando restituisce quella bambina ormai adolescente alla sua famiglia originaria. Sono ipotesi che il romanzo non confuta né verifica, poiché l’attenzione è interamente concentrata sugli effetti di quelle scelte su chi le ha subite, l’arminuta, la bambina che, tornata a casa, deve imparare ad adattarsi nuovamente al ruolo di figlia di un’altra madre. Un romanzo che si presta ad una lettura scorrevole ma non semplice, e le cui parole si annidano in angoli nei quali nidificano fino a dar vita ad un groviglio di domande e sensazioni contrastanti. Rubando tempo al suo tour promozionale, abbiamo rivolto qualche domanda all’autrice, Donatella Di Pietrantonio, giunta alla sua terza fatica editoriale. 

“L’arminuta” è il suo terzo libro, dopo l’esordio con “Mia madre è un fiume” e il candidato allo Strega “Bella mia”. Cosa è cambiato da quell’intenso 2011, e come ha vissuto il passaggio ad una casa editrice importante come Einaudi?

In questi anni ho acquisito una maggiore consapevolezza di me come scrittrice, ci credo di più. Tuttavia, se qualcuno mi chiede che lavoro faccio continuo a rispondere la dentista. Sono felice di essere entrata in una squadra così prestigiosa come l’Einaudi e con una storia così importante alle spalle, quando mi trovo con loro ho spesso l’impressione che presto mi sveglierò nel mio letto e niente sarà stato vero.

Tutti e tre i romanzi trattano, declinandolo in modi diversi, il tema della maternità. Da dove nasce la scelta di affrontare un argomento così delicato?

Questa è sempre stata la mia urgenza narrativa, soprattutto le parti oscure della maternità, al polo opposto dell’amore. Quindi il rifiuto, l’abbandono, temi peraltro ampiamente trattati fin dall’antichità, nella mitologia – basti pensare a Medea – o nelle fiabe, dove troviamo diversi esempi di bambini lasciati nel bosco dai genitori. Sono sempre rimasta colpita dall’importanza determinante che questa relazione primaria ha nella vita di ognuno.

A fare da teatro a questa vicenda, così come è stato per i precedenti lavori, l’Abruzzo, di cui lei è originaria. Una terra che sembra riflettere i sentimenti della protagonista, respirare con lei, ricalcarne i battiti. Quanto ha influito l’appartenenza a questi luoghi nella definizione del suo stile?

Il mio stile somiglia a certi aspetti del territorio che racconto come ambiente dei personaggi, è spoglio, essenziale, scolpito in un lavoro di sottrazione continua. Somiglia insomma ai paesaggi abruzzesi e anche un po’ al carattere degli abitanti, sebbene io sia nemica delle generalizzazioni.

Di Abruzzo ultimamente si è parlato molto, e purtroppo per avvenimenti tristi: nel 2009 il terremoto che ha sconvolto L’Aquila, quest’inverno la neve e la slavina a Rigopiano. Dove la trova questa terra tutta l’energia per rialzarsi?

Forse nella solidarietà, in un’attitudine resiliente collettiva. Dopo i crolli delle stalle dovuti alla concomitanza di scosse sismiche e dell’eccezionale nevicata dello scorso gennaio, gli allevatori anziani, ormai in pensione, hanno messo a disposizione le loro stalle vuote e ospitano tuttora le mucche sfollate di chi ha subito danni. Questo è lo spirito autentico della mia terra, che corrisponde al proverbiale Abruzzo forte e gentile.

Il suo romanzo è stato accolto molto favorevolmente da pubblico e critica e noi ci auguriamo che questo sia un ulteriore incentivo a continuare a scrivere. Ha altri progetti in serbo per i suoi lettori?

Sicuramente il progetto è quello di continuare a scrivere, ancora non so cosa, in questo momento sono troppo impegnata ad accompagnare l’Arminuta in giro per l’Italia, a presentarla ai suoi lettori. Ma anche quando uno scrittore non sta scrivendo, qualcosa lievita e lavora dentro, in attesa che gli si dia voce.