Recensioni

La Lingua Madre di Maddalena Fingerle

Esordio della bolzanina Maddalena Fingerle (classe ’93), Lingua madre vince la XXXIII edizione del Premio Italo Calvino, la prima interamente online, e approda nella collana “Incursioni” della casa editrice Italo Svevo. Dopo i finalisti Veronica Galletta (Le isole di Norman, 2020) e Gianni Agostinelli (Resti, 2020), l’editor e scout Dario De Cristofaro torna a pescare dal ricco bacino del Premio e si aggiudica una vera gemma. Lingua madre è un lucidissimo flusso di coscienza che attraversa i luoghi e gli affetti, che li trasforma negli occhi, ma soprattutto sulla lingua del protagonista, Paolo Prescher. Una storia di formazione, anzi di trasformazione, a partire dalle parole.

Andata e ritorno: Bolzano – Berlino – Bolzano

È da quando sono nato che mia madre piange. Piange perché la mia prima parola è parola. Piange perché dico parola e non mamma. Piange perché papà non parla nemmeno quando dico parola e non mamma. Mia madre piange, piange, piange. Piange perché le dico che ormai la parola non significa più parola perché lei mi ha sporcato la parola.

Da sempre, per Paolo le parole non sono solo parole: le parole pulite, quelle che «dicono quello che devono dire senza fare la doppia faccia», rendono anche la vita più limpida. La sorte beffarda lo vuole originario di Bolzano, città che dell’identità linguistica fa una mania: italiano, tedesco o ladino, sei ciò che parli. Ma per Paolo tutti parlano sporco: la madre, la sorella, tutti tranne il padre, Biagio, che non parla affatto. Soffocati dalle apprensioni e dai vezzi delle due donne di casa, Paolo e Biagio sembrano uniti in un fronte di silenziosa resistenza. Silenzio che Paolo non trova le parole per rompere, e che al padre sarà fatale.

Paolo non riesce a non darsi la colpa del suicidio di Biagio: non ha trovato parole abbastanza pulite. Deve cercare altrove e opta per il tedesco. Parole nuove, intonse. I ricordi non possono sporcare una lingua che non ha mai parlato. Paolo compie diciotto anni e a Bolzano è il momento della dichiarazione: tedesco o italiano? Europeo. L’orizzonte si apre a questo punto sull’universo dei giovani apolidi in cerca di una sorte migliore. Paolo approda a Berlino con qualche paia di mutande e una saponetta, trova in fretta una sistemazione e anche l’amore, Mira. Mira di Pienaglossa parla pulito, così pulito che gli pulisce persino l’italiano. Con lei la metropoli si riduce a una biblioteca, una vasca da bagno, qualche amico e uno scantinato: un confortevole equilibrio destinato a rompersi.

Mira aspetta un bambino e vuole crescerlo a Bolzano: lui si fida di Mira, finché è con lei e le parole sono pulite va tutto bene, anche Bolzano. Ma la rabbia e la nostalgia sporcano tutto, Mira e la bambina che Paolo tanto desidera. È un maschio e la nonna vuole chiamarlo Biagio. Paolo diventa papà, ma non desidera altro che lavare via (letteralmente e non) lo sporco delle parole e purificare anche la piccola.

In Dialekt konnsch net oanfach so lernen, woash? Non fai un cazzo, sei dichiarato? Sì, quindi pagato. Insegnami il tedesco. Mi dispiace, cercherò parole pulite e poi te lo richiederò. Die blöde Kuh heult rum. Andiamo al lido, vieni? Mi dispiace, cercherò parole pulite e poi te lo richiederò. Siamo in Italia, eh. Cinquemila anni fa, facciamo blaun, sulle gelide alture dei ghiacciai della Val Senales. Morì. Thialetto. Nessuno ha il diritto di obbedire. Mi dispiace, cercherò parole pulite e te lo richiederò. Des isch die Sproch der eigenen Leit. È bilingue come io. Paaaaolo! E siamo bilingui, noi. Es regnet. Tu devi morire.

In un crescendo che segue l’insinuarsi dell’ossessione, quella vera, si consuma la tragedia.

La lingua

In Lingua Madre, la centralità della parola si traduce in un lavoro certosino sulla lingua, non privo di qualche divertissement. Primo fra tutti, il gioco con i nomi dei protagonisti: Paolo Prescher è, infatti, l’anagramma di “parole sporche”, mentre Mira di Pienaglossa di “sapone di marsiglia”.

Le numerose contaminazioni confluiscono a loro volta in un insolito miscuglio, un Misch-masch linguistico, per dirla alla bolzanina, a tratti straniante ma denso di suggestioni quasi uditive. Esperienza sinestetica per il lettore, contagiato dall’ossessione del protagonista. Non solo, la “lingua madre” della Fingerle è materia viva, magmatica, in costante trasformazione.

La fissazione di Paolo si fa innanzitutto poesia ingenua e disarmante di bambino, un gioco che diventa presto fin troppo serio. Paolo adolescente è arrabbiato, tagliente: eredita l’insofferenza del padre per la borghesia bolzanina, ne ridicolizza gli assiomi e le ipocrisie. Il rifiuto della perdita e della lingua dell’infanzia si traducono in un cortocircuito tra questa e la nuova lingua, il tedesco. Poi, l’incontro con Mira e la tenerezza del primo amore distendono la narrazione. Nello scantinato berlinese si ricrea una dimensione di gioco, stavolta condiviso, in sperimentazioni quasi dadaiste ad opera di amici artistoidi e scrittori-non-scrittori. Infine, con il ritorno a Bolzano, la scrittura si fa sincopata, sintomo della concitazione del protagonista, incapace di arginare l’ossessione, più prepotente che mai.

Un’aldina d’avanguardia

Grazie al raffinato progetto grafico di Maurizio Ceccato in copertina, il volume acquista un aspetto di assoluta modernità, pur conservando un retrogusto quasi antico nel formato (aldina caratteristica delle edizioni Italo Svevo), con tagli laterali delle pagine ancora intonsi. L’esperienza di lettura si fa totale: se l’ossessione del protagonista contagia il lettore fino a fargli soppesare ogni parola, la lentezza data dal gesto di separare le pagine, come una volta, restituisce il piccolo piacere della scoperta, la sensazione di addentrarsi nell’intimo e nel segreto.

 

 

Laura Carlomagno