Opportunità o minaccia? Un viaggio nel mondo dell’intelligenza artificiale in editoria
Sono passati quarant’anni da quando, nel 1983, Isaac Asimov pubblicava il suo romanzo I robot dell’alba, nel quale si interrogava sul rapporto tra esseri umani e macchine. In quel caso erano robot umanoidi visti in maniera fantascientifica, e il racconto si dipanava su toni investigativi e polizieschi che ruotavano intorno alla risoluzione di un mistero. Oggi, nel 2023, abbiamo a che fare con altri tipi di macchine, con sembianze meno “umane”, anzi: macchine che addirittura non vediamo fisicamente, ma con le quali ugualmente possiamo interagire e che pongono dilemmi etici e morali non inferiori a quelli che si poneva Asimov nel suo romanzo.
Le intelligenze artificiali sono ormai una realtà consolidata del nostro mondo e della società nella quale viviamo. Sistemi come ChatGPT hanno, in poco tempo, rivoluzionato la nostra vita, permettendoci di svolgere velocemente compiti che prima richiedevano molto tempo. Il software di OpenAI è stato lanciato poco meno di un anno fa (il 30 novembre 2022) e in questo lasso di tempo è già riuscito a sollevare dilemmi etici e morali, venendo addirittura proibito in Italia per un paio di settimane a causa di violazioni in materia di privacy.
In meno di un anno l’evoluzione di questo tipo di tecnologia ha già portato l’intelligenza artificiale a scrivere un libro e addirittura a vincere un premio letterario, cosa che ha portato anche in Italia all’istituzione di una categoria a parte nei concorsi letterari (link), come già successo per le fotografie generate da IA.
Tali evoluzioni, che non sembrano destinate a fermarsi, ci portano a una riflessione doverosa. Come dobbiamo rapportarci all’utilizzo delle IA in editoria? Rappresentano una risorsa utile o una minaccia da maneggiare con cura e potenzialmente dannosa? La realtà, come spesso accade, sta nel mezzo. Da una parte, le IA possono realmente aiutare e semplificare il lavoro editoriale. Si pensi, banalmente, all’utile funzionalità di ChatGPT che permette di fare brainstorming di idee in maniera rapida e veloce: un utilizzo che può tornare utile, ad esempio, nella creazione di post per i social, per i quali si possono ricevere idee anche molto specifiche da rielaborare per le proprie esigenze. Entrando più nel tecnico, poi, è possibile affidarsi alle IA (non solo a ChatGPT) anche per i lavori di correzione di bozze o di traduzione.
E se non sempre questo tipo di lavori possono risultare accurati, se non altro ciò che si può ottenere in tempi brevi è l’ottenimento di un testo molto meno sporco al quale mettere mano rispetto a ciò che si riceve in originale nel lavoro redazionale. Al XVIII Congresso ISMPP di editoria medica tenutosi a Washington il 9 maggio 2022, infatti: «è stato calcolato quanto la sinossi di articoli scientifici richieda mediamente oltre 100 minuti rispetto ai circa 150 secondi di GPT per un risultato ottimale, seppure da rivedere a cura di un editor professionista».
Come sappiamo, però, non di solo contenuto vive l’editoria, perché un libro non è composto soltanto dalle parole scritte sulle proprie pagine, ma esistono altre componenti che contribuiscono a decretarne il successo o il fallimento, a cominciare dal lavoro di tipo commerciale. E anche in questo caso le IA possono essere utili agli uffici che si occupano proprio di questo attraverso l’analisi e la raccolta dei dati utilizzabili a fini economici e di marketing. Lavori che richiederebbero ore di analisi “umana” sono adesso realizzabili in tempi efficienti, e per chi teme che questo possa portare alla diminuzione di posti di lavoro in favore delle IA, la realtà è che ci saranno sempre lavori per gli esseri umani, che dovranno essere in grado di istruire le IA per portarle ai risultati che vogliono ottenere.
Come già accennato, però, il dibattito e la riflessione sulla potenza delle IA è ancora aperto, soprattutto dal punto di vista etico e morale. Il fatto che le IA come ChatGPT stiano già scrivendo dei libri, metterà in mano a chiunque la possibilità di essere creativo con relativamente poco sforzo? E questo porterà a una riduzione e a una banalizzazione della creatività stessa? Il prossimo grande romanzo americano verrà scritto da un’intelligenza artificiale? Sono tutte domande che è lecito porsi, e riflessioni che in parte alcuni studiosi e addetti ai lavori hanno già fatto. Se Jonathan Franzen, ad esempio, è scettico a tal punto da aver intentato anche una causa a ChatGPT, accusato di copiare dai suoi romanzi, dall’altra parte c’è chi frena le visioni apocalittiche, come Umberto Curi, filosofo e professore dell’Università di Padova, secondo il quale «negli ultimi decenni è successo più volte di assistere a dichiarazioni di natura radicale di fronte ad avanzamenti in ambito tecnico e scientifico, ma anche politico ed economico» senza che poi si siano verificate vere rivoluzioni».
Il mondo, come sempre più spesso succede in una società polarizzante come la nostra, si è già diviso in entusiasti e apocalittici: trovare una via di mezzo è sempre più difficile, perché la materia dell’intelligenza artificiale in sé è una materia complessa. Parliamo di macchine istruite da esseri umani grazie ad algoritmi e complicate operazioni matematiche, che le portano, nel loro output conclusivo, a comportarsi in maniera sempre più simile agli esseri umani, a tal punto da essere quasi indistinguibili da loro. Il tema è, per forza di cose, caldo e divisivo, ma al tempo stesso sta stimolando un dibattito acceso che può portare a risultati costruttivi, anche e soprattutto nel mondo editoriale. Le realtà che riusciranno a comprendere le potenzialità positive e utili delle IA potrebbero avere dei vantaggi competitivi (che si traducono in risultati economici) rispetto a chi, più scettico o diffidente, potrebbe tenersi lontano da questo mondo. Del resto, è di pochissimi giorni fa la dichiarazione della segretaria generale della Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana) Alessandra Costante, che ha evidenziato come «Abbiamo la necessità di entrare nel futuro, ma con solide garanzie sulla tenuta dei posti di lavoro e tenendo in debita considerazione che l’editoria è un settore industriale diverso dagli altri. Siamo convinti che i giornalisti debbano governare l’intelligenza artificiale e non esserne governati e che, quindi, occorra trovare il giusto equilibrio fra innovazione e responsabilità sociale».