Lucini: quando la tipografia diventa poesia

Per gli addetti al settore, per gli amanti del bello e dei libri, per i designer e i poeti, i fotografi e i letterati, e a questo punto per i semplici curiosi è in corso, presso il Palazzo Sormani di Milano, la mostra dedicata all’officina d’arte grafica Lucini, dal titolo “Lucini: quando la tipografia diventa poesia”. L’esposizione, a cura di Andrea Kerbaker e Luigi Sansone, offre la possibilità di ammirare realizzazioni tipografiche uniche come unica è la storia della tipografia da cui esse provengono. 

L’officina Lucini nasce nel 1924, in via Piero della Francesca a Milano, dove Achille stabilisce la propria attività di tipografo e dove tutt’ora il nipote Giorgio, ereditando l’attività dal padre Ferruccio, conduce l’impresa di famiglia. Quella dei Lucini, infatti, è un’avventura, oltre che imprenditoriale, prima di tutto familiare e il visitatore ne è reso accorto fin dalla prima sezione della mostra, in cui vengono presentate, attraverso le parole (scritte) dello stesso Giorgio, le tre generazioni di questi tipografi milanesi. Accanto alle informazioni storiche e tecniche relative all’officina, si possono così leggere cenni talora ironici talaltra discretamente intimi sulla storia della famiglia e sul succedersi dei suoi patriarchi. Si scopre allora che Achille, provato nella sua attività di tipografo dai bombardamenti della seconda Guerra Mondiale, ringraziò i propri clienti con un affettuoso cartoncino natalizio per averlo sostenuto nella ricostruzione; che Ferruccio indossò per tutta la vita cravatte esclusivamente bianche; che Giorgio, ritratto in una foto ancora bambino e appeso alla cornetta di un telefono, dice di sé che fin da piccolo fu un gran lavoratore.
La seconda sezione introduce il visitatore più addentro all’attività della tipografia e alla sua collaborazione con artisti e editori di prestigio, come Bruno Munari, Giò Ponti e Vanni Scheiwiller. Le realizzazioni che nascono dalla sinergia con queste personalità sono vere e proprie opere d’arte, sia a livello concettuale che nella loro realizzazione materiale. Si pensi, solo per fare un esempio, all’ “Alfabeto Lucini” progettato da Munari.
Tuttavia, l’attività dell’officina, lungi dal rinchiudersi in un mondo d’élite, si propone come interlocutore di livello anche per grandi realtà imprenditoriali quali Telecom, Pirelli o Olivetti, senza dimenticare i grandi nomi della moda come Missoni, Prada e Krizia ai quali la tipografia milanese garantisce la stessa cura del prodotto dedicata alle sperimentazioni dei grandi nomi dell’arte e del design. Si può dire infatti che la sperimentazione, unita all’attenzione per la qualità, sia il fil rouge dei quasi novant’anni di lavoro dei Lucini e la mostra lo ricorda con ogni pezzo esposto.
Si giunge infine alla terza e ultima sezione di questa galleria, dedicata dai curatori alla collaborazione dell’officina con il mondo della fotografia e della letteratura. Anche qui campeggiano grandi nomi come quello di Ferdinando Scianna e quelli di alcuni premi Nobel per la letteratura, come Quasimodo o Szymborska, che affidano alle cure della tipografia di Ferruccio prima e di Giorgio poi edizioni raffinatissime delle loro opere.
Pertanto, se s’intende la poesia come arte della composizione e come ricchezza dell’ispirazione, allora davvero i Lucini hanno fatto del proprio lavoro un atto poetico capace di travalicare i confini dell’officina per estendersi fino all’arte (non meno ricercata) del buon vivere. Non si dimentichi che i migliori clienti della tipografia ricevono ogni anno una bottiglia di vino Lucini, un prosecco della Valdobbiadene che a sua volta costituisce un’opera poetica per il palato, per gli occhi – le etichette sono firmate ogni anno da noti grafici – e per l’umore.
(La mostra rimarrà aperta al pubblico fino al 26 marzo.)
 

(Alessandra Grossi)