Baumgartner, perdita e memoria nell’ultimo romanzo di Paul Auster
«Sono diventato vecchio, ma siccome le giornate passavano in fretta, nel complesso mi sento ancora giovane, e finché riesco ancora a tenere una matita in mano e a vedere la frase che ho davanti, immagino che continuerò con lo stesso tran-tran che seguo dal mattino del mio arrivo qui. E se poi verrà il momento in cui non potrò più continuare, non dovrò fare altro che alzarmi e andarmene».
Paul Auster “si è alzato e se n’è andato”, lasciando ai lettori quello che sembra, a tutti gli effetti, un libro-testamento.
Il ritorno alla narrativa, dopo sei anni dal successo di 4321 (Einaudi, 2018), si manifesta attraverso un libro breve ma intenso, colmo di riferimenti a opere precedenti e tematiche già largamente esplorate. Uscito a novembre 2023, Baumgartner è stato pubblicato da Einaudi (con la traduzione di Cristiana Mennella) a poca distanza dall’uscita negli Stati Uniti.
Professore di filosofia all’Università di Princeton, Seymour “Sy” Baumgartner, settantenne e vedovo da dieci anni, cerca di fare i conti ancora una volta, nonostante il tempo passato, con la perdita di Anna, sua moglie, travolta da un’onda anomala durante una vacanza a Cape Cod. Quando il lettore lo incontra, Sy ha appena interrotto la stesura di una monografia sugli pseudonimi di Kierkegaard per iniziare la ricerca di un libro da cui trarre una citazione. Questa azione innesca una catena di fatti accidentali che porterà il protagonista ad aprire le porte della sua psiche: una scatola dei ricordi in cui gran parte dello spazio è occupato dalla vita passata con Anna.
«Mi manca, tutto qui. Era l’unica persona al mondo che io abbia mai amato, e ora devo trovare un modo per continuare a vivere senza di lei».
Baumgartner soppesa la sua esistenza, tracciando un solco tra la sua vita prima e dopo Anna. A volte dimentica che sia morta. Mette in ordine i pensieri e, al contempo, tutto ciò che di lei resta tangibile: prime bozze di traduzioni pubblicate, poesie, lettere, romanzi allo stato embrionale; materiale che l’autore inserisce per spezzare il flusso dei ricordi, ma che allo stesso tempo contribuisce a scavare più a fondo nella memoria del protagonista.
Anna Blume, già protagonista di Nel paese delle ultime cose (scritto nel 1987, in Italia pubblicato nel 2018 dalla casa editrice Einaudi, così come tutti gli altri titoli dell’autore), comparsa anche in Moon Palace (1997) e in Viaggi nello scriptorium (2008), non rappresenta l’unico collegamento con le precedenti opere di Auster. In Baumgartner, i richiami sono molteplici: dai telefoni che, squillando, segnano un momento di svolta come in Trilogia di New York (2014), alla tematica del lutto, della quale ha già scritto in diverse occasioni. Il libro delle illusioni (2002) si costruisce attorno al dolore provato dal professore David Zimmer in seguito alla morte di moglie e figli; ciò ricorre anche in 4321, in cui Archie Ferguson sperimenta la perdita e la devastazione vivendo quattro possibili scenari esistenziali. Vi sono poi il luogo natio – Newark – un frammento di vita newyorkese e il cognome da nubile della madre del protagonista: Auster. Non mancano anche il ruolo dello scrittore e il potere salvifico della letteratura.
La narrazione non sequenziale degli eventi asseconda il ritmo dei pensieri del protagonista, che inciampa tra casualità e allucinazioni, come il ticchettio dei tasti della macchina da scrivere di sua moglie o lo squillo “fantasma” del telefono staccato al cui capo opposto c’è Anna, confinata in un «Grande Nulla» nel quale si trova proprio a causa di Sy e del suo perpetuo ricordare.
«Non ha idea di come succeda, né capisce perché sia in grado di parlargli in questo momento, sa soltanto che tra i vivi e i morti c’è un legame, e che un legame profondo come quello che c’era tra loro quando lei era in vita può proseguire anche dopo la morte».
La fotografia di Teun Hocks (Untitled n.249) scelta da Einaudi per la copertina dell’edizione italiana comunica perfettamente ciò che si trova all’interno: un personaggio con un occhio al presente – rappresentato dal giornale – ma che allo stesso tempo tiene aperta una fessura sulla memoria passata.
Un romanzo dalla forte componente elegiaca, autentico e commovente, che induce a interrogarsi sul potere della reminiscenza, sulla fugacità dei ricordi e su ciò che resta di un individuo quando si confronta con la morte. Nella prosa di Auster non c’è pesantezza, né autocommiserazione, ma delicatezza e gratitudine. E anche un pizzico di speranza.