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Al di là della cronaca: “La città dei vivi” di Nicola Lagioia – Recensione

Vincitore del Premio Strega 2015 con La ferocia, questa volta Nicola Lagioia ci sorprende con La città dei vivi, pubblicato nel 2020 da Einaudi. Ha fatto recentemente discutere il rifiuto dell’autore della candidatura allo Strega 2021: le motivazioni sono in parte spiegate all’interno di un post sul suo profilo Facebook.

La città dei vivi ha come oggetto un caso di cronaca nera, avvenuto nel marzo 2016 a Roma: l’omicidio di Luca Varani ad opera di Marco Prato e Manuel Foffo. A colpire particolarmente l’opinione pubblica fu la brutalità del fatto: la morte di Varani avvenne lentamente e in seguito a numerose percosse e torture. Nicola Lagioia non è immune al clamore suscitato dalla notizia; d’altronde l’appartamento di Foffo, dove fu perpetrato il delitto, era distante «un quarto d’ora di motorino» dalla sua abitazione. La prima spinta, dunque, è la prossimità spaziale al luogo del delitto. Immediatamente lo scrittore, che è anche un personaggio del libro, ne risulta ossessionato per sua stessa ammissione.

Tecnica narrativa

Ecco dunque che lo scrittore diviene una sorta di detective, seguendo il fortunato modello di Truman Capote in A sangue freddo: scende in campo, intervista alcuni degli attori coinvolti, riporta alcune conversazioni dei protagonisti avvenute su Whatsapp, titoli di giornale, interrogatori, post nei vari social. Il delitto, nel nuovo millennio, coinvolge tutti, è di pubblico dominio. La dimensione privata del lutto si sgretola per trasformarsi in lutto collettivo, caratterizzato da manifestazioni di solidarietà ma anche da esecuzioni sommarie. L’opera si inserisce dunque nel filone della non fiction, ma la documentazione riesce a non soffocare la narrazione: i fatti non solo vengono sapientemente raccontati, ma sono il punto di partenza per giungere ad una riflessione ulteriore, che riesce a valicare il confine del nudo episodio di cronaca.

Veniamo inoltre a conoscenza degli effetti del caso Varani sulla vita dell’autore, mentre assistiamo alla genesi stessa del libro. Un’attenzione particolare è poi riservata anche ai compagni della vittima: come si vestono, come comunicano tra loro, qual è la quotidianità dei nuovi “ragazzi di vita” di pasoliniana memoria?

Vittime e carnefici

Cerchiamo di osservare cosa emerge dai dati raccontati da Lagioia. Al di là delle facili e spesso piatte narrazioni televisive, così affezionate alla cronaca nera, si profila una ritrovata complessità: la vittima, figlio di un venditore ambulante, sembra possedere un lato oscuro, ignoto perfino alla storica fidanzata; un lato che mai si condanna – e questo è bene specificarlo – ma lo si riporta con la necessaria trasparenza del caso.

Dall’altro lato abbiamo i carnefici: Marco Prato, di professione Pr, appartenente alla borghesia romana; Manuel Foffo, figlio di un piccolo imprenditore. Tre diverse estrazioni sociali destinate ad incontrarsi per l’ultima volta il 6 marzo 2016. Uno stralcio di commento all’interrogatorio di Manuel Foffo risulta essere particolarmente interessante:

I presenti capirono di essere in una situazione piuttosto rara: non era la giustizia questa volta a sforzarsi di mettere luce negli angoli bui della natura umana, era il fondo del pozzo a risalire impetuoso verso chi si sporgeva per guardarci dentro.

L’omicida sembra perciò non rispondere passivamente alle domande che gli vengono poste; è lui a richiedere accoratamente le ragioni di quell’omicidio. Senza alcuna volontà apologetica, dunque, Lagioia fa luce non solo sul lato sconosciuto della vittima, ma anche su quello abituale dei carnefici.

Ed ecco subito che si aggiungono due nuove prossimità, oltre a quella spaziale delineata all’inizio del libro. La prima è la sensazione di essere dei sopravvissuti: quando ci troviamo di fronte ad un caso che ci tocca da vicino, sentiamo di averla quasi scampata. Potevo essere io, ci viene da dire. E non è solo la sensazione dello spettatore o del lettore del fatto di cronaca, ma è anche ciò che provano i reali sopravvissuti a quella che fu una vera e propria Lotteria della Morte, quella notte di marzo del 2016.

Ma c’è un’altra prossimità: quella con il carnefice. Prato e Foffo, si insiste su questo senza alcuna volontà assolutoria, non paiono essere dei mostri nella loro abituale quotidianità. Allora quel potevo essere io non è da rapportare solo alla vittima. Lagioia ci invita così a guardare nell’abisso, alla ricerca dei lati oscuri del nostro animo.

Karen Berardi