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Tempo di fiere, tempo di Book Pride: intervista a Giorgio Vasta

«L’organizzazione di una fiera come Book Pride è però soprattutto un discorso. Un discorso degli umani agli umani. Dei viventi ai viventi»

La quarta edizione della fiera nazionale dell’editoria indipendente Book pride, organizzata da Odei (Osservatorio degli editori indipendenti) dal 23 al 25 marzo a Milano (negli spazi di Base, ex Ansaldo) a ingresso gratuito, per la prima volta ha affidato la direzione creativa allo scrittore Giorgio Vasta al quale abbiamo deciso di fare alcune domande.

Come stai affrontando questo compito?

Sapevamo di poter affrontare un altro modo di intendere la fiera, per questo abbiamo deciso di dialogare con tutte le case editrici mettendoci a loro disposizione per ragionare sui singoli incontri. Abbiamo indicato il tema, lo abbiamo descritto suddividendolo in sottotemi che sono come dei cesti, contenitori con l’obiettivo di intercettare le loro proposte, abbiamo ragionato sul taglio degli incontri e sui moderatori. Questa moltiplicazione di dialogo, questa discussione fitta con le case editrici oltre ad aver contribuito a dare forma al programma, ha messo ognuno di noi nella condizione di comprendere meglio che cosa è book pride e che cosa può essere una fiera, un progetto in cui la proposta culturale non è inerziale, ma qualcosa in cui ci sia un’idea di mondo, di editoria, un’invenzione di senso da provare a condividere, sapendo che questa condivisione riguarda qualcosa di labile, vulnerabile. Si prova a dare forma a un disegno che si consuma in qualche giorno, ma tutta la fatica che serve a tracciare quel disegno più che utile è indispensabile: se una manifestazione rinuncia a suggerire un’idea di mondo spreca una occasione e si limita a fare un “incontrificio”.

Parliamo della mappa dei luoghi di questa fiera che si terrà a Milano e a Genova. Molto importante è il dialogo con il Salone di Torino e l’organizzazione degli spazi degli studenti della Naba (Nuova Accademia di Belle Arti) di Milano.

Da subito l’idea era quella di costruire, come dicevo, più dialogo possibile con il gruppo di lavoro, le case editrici e con tutti gli interlocutori che ci è sembrato naturale e bello coinvolgere. Con il Salone di Torino, per delle affinità tra me e Nicola Lagioia, per degli sguardi condivisi è stato un legame che si è creato fin da subito e si concretizza nei tre tavoli: diritti dei migranti, parità di genere, editoria indipendente. Book pride si svolge a Milano in una zona che è quella di Genova-Tortona strettamente legata al design ed era naturale dialogare con l’accademia che attraverso Elvira Vannini lavora sulle strategie di esposizione. L’elaborazione dei progetti che sono stati realizzati dai ragazzi si svilupperà in futuro in modo tale che lo spazio della fiera invece di ripetere in modo inerziale sempre se stesso con corridoi, strutture ortogonali, stand di un certo tipo, provi a reinventare lo spazio pensando che sia portatore di senso. Su Milano il dialogo è molteplice e riguarda anche la scuola Mohole e le altre manifestazioni. Genova è il luogo in cui già nel 2017 book pride ha dichiarato di volersi disseminare e sono già confermate le date di settembre. So che certamente nel 2019 ci sarà una triplicazione della fiera al sud, perché ha profondamente senso che book pride si tenga nel sud. Avere questa cadenza marzo, settembre e una terza sede futura nel sud in estate permette di tenere vivo il dialogo con le case editrici per tutto l’anno.

Quindi un’idea nuova, quasi itinerante di fiera…

Sì, infatti, c’è questo carattere nomade di book pride.

«Tutti i viventi»: ricollegandoci all’invenzione di senso, il programma si muove intorno a otto sottotemi e ha già affrontato nelle anteprime il significato di alcune parole come «orgoglio» e «indipendenza». Come è nata questa scelta e perché?

Tutti i viventi è una piccolissima frase che ho intercettato leggendo il manifesto pubblicato da ODEI. Tutti i viventi è qualcosa che si osserva sia dalla prospettiva concreta della biologia, sia tutto quello a cui siamo disposti ad attribuire vita. L’immaginazione letteraria anima, ha la capacità di rendere vivo ciò che non lo è e non può esserlo. Per noi i viventi trovano nel libro la loro dimora fisiologica, abbiamo da essere umani inventato il libro per continuare a far esistere il vivente, a moltiplicarlo. I tre personaggi letterari che abbiamo deciso di individuare come emblematici di tutti i viventi sono Pinocchio, Orlando di Virginia Woolf e Frankestein perché sono quasi delle provocazioni all’idea di vivente. I sottotemi sono stati individuati cercando di far esistere le caratteristiche del vivente, la dimensione politica, biopolitica, l’attenzione nei confronti dei corpi, identità di genere, l’invecchiamento dei corpi anche quelli che sono culturalmente dei tabù. C’è l’immaginazione del futuro e il riconoscere il prodursi del futuro nel nostro presente, c’è tutto quello che ci fa superare il contingente attraverso il desiderio. Serviva poi avere un sottotema che veicolasse incontri più tecnici legati all’editoria con la sezione “strumenti”.

Che cosa vuol dire conquistarsi e mantenere uno sguardo indipendente?

Tu prima facevi riferimento all’orgoglio che in una delle anteprime abbiamo deciso di legare alla parola cura, perché sono parole sfuggenti e facilmente banalizzabili. L’orgoglio non è uno stato d’animo generico è direttamente legato alla quantità e qualità di cura che un editore riesce a dedicare ai libri che pubblica. Un discorso analogo vale per la parola indipendenza. Indipendente dentro book pride prima di tutto è un fatto oggettivo: possono partecipare quelle case editrici che dal punto di vista economico-finanziario sono indipendenti. Quello di cui mi sono reso conto nel corso degli anni è che in realtà l’indipendenza di una casa editrice non va individuata alla origine, quando viene fondata, ma va osservata dopo un po’ di tempo. Un editore che è culturalmente poco attrezzato comincerà ad assecondare il mercato e il mercato chiede di ripetere il già noto, qualcosa che ha funzionato; un editore più forte riesce a dialogare con il mercato a viso aperto, ma in coerenza con quello che si è fatto fino a quel momento, dipendendo dalla propria indipendenza originaria. Sono successe e succedono con Sellerio, Adelphi, Minimum fax, NN, E/0 delle cose importantissime, editori che sono davvero orgogliosamente autori di uno sguardo sulle cose, riescono a entrare in relazione con il mercato in modo tale che non li può ignorare e impongono il proprio discorso.

Su La Repubblica si trova una domanda fatta proprio a Nicola Lagioia: «Tempo di Libri, pochi giorni prima di Book Pride lo danneggerà?». Sono curiosa di ascoltare la tua risposta…

Rispetto a quello che accadrà non lo sappiamo, è chiaro che il discorso andrebbe spinto guardando due aspetti: se nella stessa città nella quale da alcuni anni si tiene una fiera nella seconda metà di marzo viene a collocarsi un’altra fiera incommensurabile come dimensioni, forza economica e capacità di comunicazione e si viene a collocare due settimane prima di quella che c’è già da diversi anni e che ha già comunicato le proprie date, questo non è un fatto neutrale, è un fatto che determina delle conseguenze. Da un lato c’è un problema (vediamo se si creerà o meno) che riguarda la disponibilità del pubblico a rinnovare attenzione, curiosità e presenza nel giro di due settimane nei confronti di qualcosa che all’apparenza è uguale perché sono i libri, ma nel concreto sono due cose diverse. Non necessariamente questa differenza viene subito riconosciuta perché il lettore più attento e consapevole distingue una libreria di catena da una indipendente, un grande editore da uno indipendente, ma ogni fiera vuole dialogare con più persone possibili, con tutto il pubblico che può essere interessato a ragionare di libri.

L’altra questione?

L’altra questione ha a che fare con le case editrici: alcune hanno dovuto decidere se andare da una parte o dall’altra. Non occorrono dati, basta scorrere l’elenco dei partecipanti per rendersi conto che tutta la cultura editoriale che è diventata significativa e importante negli ultimi vent’anni è a book pride, è una pura e semplice constatazione. Chi ha ripensato l’editoria riattraversandola e anche di recente reinventandola, sono tutte case editrici che decidono di proporre la propria cultura editoriale all’interno di book pride. Tutti si sarebbe stati più contenti se gli editori, soprattutto quelli non milanesi, ai quali costa più fatica e denaro valutare di partecipare a due fiere, non si fossero trovati davanti a questa situazione. Visti i risultati numerici di Tempo di Libri, do per scontato che sia un assetto immodificabile: legittimo che dopo la prima edizione decida di cambiare luogo e periodo, forse si potevano valutare ancora delle ipotesi. Se book pride andrà un giorno in un luogo in cui si tiene già una fiera che ha caratteristiche analoghe, non si andrà a collocare due settimane prima, non ci verrebbe mai in mente di creare una situazione che può causare difficoltà a chi è già lì e sta cercando di fare un determinato tipo di lavoro.

di Silvana Farina