“Via col verde”: L’impatto della comunicazione
Ed eccoci giunti alla penultima sezione del nostro libro Via col verde, intitolata L’impatto della comunicazione. Al suo interno sono proposti tre saggi, tutti concentrati sulle strategie di divulgazione da parte delle case editrici italiane: da Aboca edizioni che ha adottato un modello di comunicazione multidisciplinare, anche grazie al contributo delle piante di Stefano Mancuso, al programma di Mondadori per far fronte al fenomeno di greenwashing attraverso la pubblicazione del libro È naturale bellezza di Beatrice Mautino. E ancora, come il genere della Climate fiction viene oggi valorizzato e trattato nel mondo editoriale.
Ed è proprio da quest’ultimo punto che parte il nostro approfondimento.
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Giulia Ottoni
Bene o male, ma parlate d’ambiente
«Il nostro cervello funziona in base a narrazioni. Noi non percepiamo la realtà così com’è, ma il nostro cervello la rielabora e ce la presenta a modo di storie».
Così, a somme righe, lo scrittore Bruno Arpaia nel suo libro Qualcosa, là fuori spiega come sia quasi necessario per il genere umano nutrirsi di storie; e di storie, nei libri, ce ne sono a bizzeffe. E diciamocelo, non c’è arma più accattivante di parole utilizzate per descrivere i pericoli che spave
ntano il genere umano. Certo, se pensiamo ad autori come Jules Verne, ci vengono in mente mostri dai tentacoli che spuntano dal fondo degli abissi e rendono l’entrata in acqua abbastanza spiacevole se si va al mare. Di sicuro la nostra mente non va dritta all’am
biente. L’ambiente è sullo sfondo, uno specchio dello stato d’animo dei protagonisti, un ostacolo, un aiutante, sempre in funzione dei protagonisti.
Parlando di cervello, secondo diversi studi (scientifici, psicologici e filosofici) la nostra mente è piena di bias, pregiudizi, che ci fanno reagire a pericoli immediati, mentre il cambiamento climatico viene percepito come qualcosa di astratto, e tuttavia «quei due gradi di temperatura in più che sembrano pochissimi», sottolinea Arpaia durante la nostra conversazione, «significano un disastro ambientale».
Così entra in scena l’arma accattivante, la parola, ciò che universalmente può raggiungere ogni singola persona: strumento più potente – e più interessante anche di un rapporto scientifico seppur ben scritto – è la narrazione.
Ecco che quindi ciò che comincia a spaventare qualche manciata di persone diventa meno mostruoso e più probabile.
Bene, allora combiniamo un po’ le cose e vediamo come gli autori, già nell’800, avessero cominciato a concepire le loro storie come strumento di descrizione di una possibile realtà futura.
Riprendiamo Verne. Nel suo libro Il mondo sottosopra (1889) il disastro climatico non solo ci viene sbattuto in faccia, ma è l’uomo stesso a causarlo. Benvenuti nell’Antropocene. Certo, con questo termine ci si riferisce più all’impatto che l’uomo sta avendo sui processi geologici, che ai ghiacciai che si sciolgono o alla temperatura terrestre che si sta alzando.
Un disastro climatico che nel secolo scorso continua nelle opere di autori come Le Guin, Atwood e Robinson: storie distopiche in cui l’uomo deve affrontare questa minaccia ambientale, che di distopico oramai non hanno più niente. Non c’è più quel senso di defamiliarizzazione che permetteva ai lettori o agli spettatori di godersi lo spettacolo.
Gli eventi, i fatti che stanno accadendo in questi anni, rappresentano uno scenario molto fertile per autori da tutto il mondo i quali vi attingono per le loro storie.
Quindi sì, parliamo di fantascienza, di solar punk, di climate fiction, ma parliamo anche di comunicazione.
Storie in libri, film e podcast che vengono usate per comunicare una crisi ambientale, il cui scopo è risvegliare empatia e spingere il lettore ad agire.
Ma come invogliare le persone a interessarsi, a sentirsi parte di qualcosa che deve lottare per un futuro meno desolante?
Nel 2020, a Berlino, c’è stato il Festival Cli-fi, in cui autori ed esperti hanno discusso della situazione ambientale e di come la combinazione di fatti reali e fiction fosse una delle principali fonti di ispirazione degli scrittori. Ancora prima, nel 2015 e sempre a Berlino, c’è stata la European Climate Fiction (alla quale ha partecipato anche Arpaia stesso). Festival, quindi, utili a dare informazioni, a invogliare le persone a viaggiare con la mente, ad approfondire la tematica.
Con la pandemia, inoltre, molti eventi potevano essere seguiti online grazie a internet, una finestra nel mondo.
Questo è stato il caso di un evento come Utopia Awards and Climate Fiction Conference, svoltosi il primo ottobre, in cui studiosi, ricercatori e scrittori si sono cimentati in workshops e panels, discutendo di temi come solar punk, black and African climate fiction, la climate fiction come setting and plot device: uno spazio di discussione e apprendimento per editor, case editrici, scrittori e anche lettori, chiamati in causa per scegliere i racconti più belli.
Purtroppo, forse data la prima esperienza o la sua scarsa presenza in articoli e social media, l’evento non ha fatto scalpore, riscuotendo poco successo: è un peccato perché questo spazio, il cui unico scopo è la comunicazione della crisi ambientale e la fondazione di una comunità internazionale, con la possibilità di avere più punti di vista, ha l’opportunità di riunire persone da più parti del mondo.
Più fortunato è stato il concorso indetto da Fix Solution Lab, appartenente alla società americana Grist, che si occupa proprio di media e dimostra come la combinazione di storytelling, eventi e la costituzione di un network, sia in grado di raggiungere persone in ogni parte del mondo. Grazie a Imagine 2200: Climate Fiction for Future Ancestors, scrittori da ogni dove (85 paesi), cresciuti in ambienti diversi, immaginano futuri diversi, diventano una fonte inestimabile di prospettive differenti, in grado di esplorare nuove possibilità con cui le storie aiutino a concepire un futuro. Il lettore, sul sito, ha a disposizione tutti i racconti finalisti, provvisti anche di una traccia audio per chi avesse la necessità di ascoltarli, e permette di ascoltare sul canale youtube appuntamenti tra gli scrittori finalisti.
Un insieme di racconti, quindi, che vengono da più parti del mondo, scritti però nella lingua più conosciuta, l’inglese.
Cercando informazioni sui modi di comunicare la climate fiction, mi sono imbattuta nella casa editrice Future Fiction, il cui direttore editoriale Francesco Verso è un avido scrittore e lettore di solar punk. Non solo, il mese scorso ha pubblicato Meteopatia, una raccolta di racconti cli-fi provenienti dal sud del mondo, tradotti direttamente dalla lingua natale in cui erano scritti.
Parlando di comunicazione, inoltre, sono disponibili anche una serie di incontri gratuiti in libreria a Roma e Torino dove fantascienza, solar punk e climate fiction verranno discussi da autori di tutto il mondo.
“There is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about.” Sperando di non aver snaturalizzato la citazione di Wilde, dico che uno dei primi passi, grazie anche all’editoria, è stato fatto: se ne parla, e si partecipa.
Caterina Fortuna