Recensioni

Il libro delle case di Andrea Bajani

«Ogni persona è un abisso: vengono le vertigini a guardarci dentro» diceva Roberto Benigni nel suo film La tigre e la neve del 2005. Tutto molto lontano da quello di cui stiamo per parlare, in realtà.

Eppure, finendo di leggere Andrea Bajani nel suo ultimo romanzo Il libro delle case – edito da Feltrinelli e candidato al Premio Strega di quest’anno – la battuta di quel film torna subito alla mente.

Nella riga dell’autore si apre l’abisso dell’animo umano: non tanto nelle parole nere, ma nel vuoto bianco che tiene insieme frasi, storie, uomini e certamente case. Le stesse che Bajani elenca nel suo libro.
Capitolo dopo capitolo – da casa a casa – la vita del protagonista arreda il romanzo e regge una trama che pare priva di senso ma che, con la sensibilità affilata dall’ autore, il lettore riesce a comprendere attraversando le pagine, dalla prima all’ ultima dimora, in un sovrapporsi di stanze, luci, vite e ombre, logica e insensatezza nell’architettura dell’essere umano.

Lo stile Bajani

È questo l’effetto Bajani, un sintomo ben noto a chi ha già letto altro di lui. Nel mondo, là fuori, c’è l’ordine caotico di esperienze in collisione, vite “da ispirazione” che ci arrivano addosso porta dopo porta, in fondo a un corridoio, a un sottotetto, a un sottoscala. Mattoni che definiscono spazi, che definiscono vite, che definiscono ricordi, rimpianti e risentimenti. È la Matrioska dell’esistenza a cui noi tutti giochiamo.

Lo stile della scrittura è una luce a taglio che affetta il buio, una porta che si apre su una stanza nascosta dell’animo umano: quello che illumina sono solo i ricordi di chi siamo stati, dove abbiamo vissuto e cosa ci porteremo con noi quando un giorno ripartiremo.

Casa dell’amicizia, 2017.
È una stanza di pochi metri quadri, già messa in posizione per la notte. La luce è principalmente quella che arriva dai lampioni in strada, che ne macchiano l’oscurità. Il silenzio è quello di un generatore di corrente in sottofondo, nel cortile interno della palazzina – di pertinenza di una pizzeria.

Descrizioni sottili, precise e raffinate, consapevoli che quello che si sta narrando sono le stanze segrete di Io – protagonista banalmente nominato del romanzo – delle sue case abitate, delle sue persone vissute, del suo tempo passato. Le dimore si stratificano, come i giorni, come i fatti e gli oggetti, i dettagli e gli anni di una vita che viene narrata passando per un’enciclopedia degli spazi domestici.

L’architettura dell’essere umano

La familiarità della propria esistenza coincide con la familiarità dei luoghi che hanno reso Io ciò che è sempre stato, fin da quando era bambino, nella Casa del Sottosuolo 1976, con la sua Tartaruga e un raggio di ricordi che generano luce. Una luce gialla e calda, familiare a chi è stato figlio di genitori apprensivi che, dalla soglia della camera, hanno vegliato sul buio del sonno. Una luce che ora rende noi osservatori, già dalla copertina, lì, sulla soglia del libro e sulla soglia della vita del protagonista.

Un lavoro di progettazione, con il testo corredato da tavole di piantine catastali e da architetture linguistiche che sorreggono le emozioni provate nella Casa sopra i tetti, a Parigi, o nella Casa della morte di Poeta: tutto si deposita sulla pelle degli inquilini e sul tempo che passa non in modo lineare ma in salti temporali, come un’accozzaglia di foto finite incollate in un album, senza tenere conto di quando sono state scattate: ogni luogo è foto-dimora di un particolare momento nella vita di Io.

Ma non si tratta solo di fisicità e concretezza: la casa di Bajani è soprattutto angolo dell’equilibrio dell’esistenza, zona confort in cui rifugiarsi. Un posto piccolo, o dentro o fuori di noi, in quella dimensione in cui siamo finiti quando cercavamo un senso alle nostre esistenze o mentre le stavamo semplicemente vivendo.
Le distanze si annullano, la fisica non regge e, con surrealistico potere, oggetti, cose e case sono la nostra genetica, il DNA che ci arriva dal mondo, il contributo al nostro divenire che ci rende né migliori né peggiori, solo densi di tutto.

Casa del persempre, 2010.
La Casa del persempre è a struttura circolare, ha la forma e la natura di un anello nuziale. In quanto ritrovato architettonico è tra quelli tecnologicamente più avanzati: scompare dentro un palmo, può stare in una tasca. La misura esatta della Casa del persempre, in cui Io abita felice, è dunque una circonferenza: 7,28 cm, a essere precisi. Il diametro è di 2,37 millimetri. Da vuota, pesa circa 4 grammi. Quando Io ci entra, sono 4 grammi più 87 chili.

Tra l’incipit e il colophon, il mondo di Io, Sorella, Madre, Tartaruga, Prigioniero e Poeta, si attorcigliano e si dipanano, a volte in una casa, alle volte in un’altra, girovaghi persi dentro loro stessi e nelle stanze del mondo, incapaci di non vivere ciò che sentono.

 

Roberta Signorini