Il bosco che mi racconti con la voce
Martina D’Andrea

Festeggiamo la giornata mondiale della poesia con la raccolta poetica di una giovane autrice italiana.
Silvia Rosa
Genealogia Imperfetta
collana: Le voci italiane
La Vita Felice, 2014
p.71, 12€
È l’immaginario dell’incanto e del fiabesco che ci accompagna fin dalle prime pagine di questa particolare raccolta poetica.
– M’innamoro adesso del bosco che mi racconti con la voce, dopo tutta questa quiete, dopo troppi fantasmi di vento […] io voglio perdermi per sentieri di mattoni gialli e rossi per il tuo sguardo, e poi trovare un punto di sole tra le ombre in cui spogliarmi di ogni desiderio e di ogni forma-
La giovane autrice ci conduce con delicatezza, quasi tenendoci per mano, nel suo mondo più intimo. Passo dopo passo ci disvela fragilità e debolezze, ci trascina nel turbine personale e inaccessibile dei suoi pensieri e delle sue sensazioni.
Silvia Rosa sa come incantarci: la parola tra le sue mani diventa materia plastica e viva, malleabile strumento per la nuda esposizione di sé. Non c’è pudore, né artificio. La poesia sembra essere la trasposizione più autentica di un gomitolo interiore di percezioni contrastanti, e forse l’unico modo per giungere al «punto di sole tra le ombre» del proprio universo nascosto. E come evidenzia Gabriella Musetti introducendo questo libro: «è fiducia nella parola, nel suo potere di cura, di dare quiete e risonanza insieme».
La poesia come gesto emotivo, come impulso vibrante e necessario. Un po’ come un quadro di Rothko, dove è però il gesto artistico che si fa poesia e portatore di mondi interiori oscillanti e sempre sull’orlo di un’esplosione trattenuta.
La punteggiatura è libera, anarchica, quasi fosse un fardello inutile e trascurabile.
Sembra suggerircelo lei stessa nella poesia Ottobre:
cadono avverbi di tempo dagli alberi spogli e all’appello mancano virgole e pause e, quante ore poi lungo un sentiero brullo – senza parole- e le tue mani immaginate in carezze e tra le ciglia il grigio dei sassi lustri di nuvole, perdere il senso del cammino se oltre il cespuglio di rovi non si rivela lo sguardo perfetto che sanno i tuoi occhi […] tu che sei corsa e riposo tu che sei la tre costole respiro vertigine spina, l’imprevisto ritorno a.
Tuttavia, come in un gioco di chiaroscuro, la delicatezza e l’eleganza della sua scrittura emergono proprio dal contrasto tra l’emotività profonda e la riflessione attenta, la ponderazione di ogni singolo vocabolo. Tutto sembra perfettamente calibrato, tutto ha il suo posto preciso.
L’esplosione che la poesia di Silvia Rosa comprime tra gli spazi e i versi è la solitudine dolorosa, è il bisogno di affetto che ha radici lontane nel rapporto con la madre, l’assenza, il senso di inadeguatezza, la frustrazione di non sentirsi amati: «e tu non mi vieni a cercare».
Le quattro sezioni che compongono la raccolta hanno ritmo mutevole: in Orme ci si addentra con cautela, con solenne lentezza nel mondo interiore dell’autrice e domina il tema del rapporto con la natura e il paesaggio; segue la sezione Amore centro in cui il ritmo si fa più incalzante, in un continuo rincorrere il filo rapido dei pensieri; in Per la costruzione di un’ archeologia (futura) il ritmo vivace accompagna le poesie più legate al processo di crescita dell’autrice; infine, con l’ultima sezione Genealogia imperfetta, si ritorna a un ritmo decrescente, che rallenta mentre si indugia sulla figura della madre e sul percorso da bambina a donna.
Ciò che l’autrice spalanca davanti a noi non è solo il racconto poetico del suo percorso di crescita, del rapporto con la propria femminilità e con i propri fantasmi, ma anche la ricerca talvolta dolorosa, talvolta commovente di sé stessi. Proprio per questo è capace di parlare un linguaggio universale e di toccare le corde di tutti.
gli occhi due bottoni appesi a ciò che resta, potessi prenderli tra le dita e dirti indossali, e adesso guardami con quelli, nuda come non mi hai mai vista.


