
Io, Partenope e l’estasi che non c’è
di Lorenzo Cetrangolo
Sebastiano Vassalli
Io, Partenope
Collana: Scala italiani
Rizzoli, 2015
pp. 281, 19 €
L’ultimo romanzo di Sebastiano Vassalli, scomparso poco dopo la sua stesura, è un viaggio nel tempo e nella Storia: come tiene a precisare lui stesso in chiusura, in un accorato e onesto “Congedo”, Io, Partenope è l’ultima tappa di un cammino fra le radici d’Italia, fra prodromi e affluenti che hanno nutrito quel particolare humus da cui è nato il nostro tempo e il nostro Paese.
Io, Partenope è però anche una storia con la “s” minuscola: quella di suor Giulia Di Marco, che si racconta in viva voce all’autore, in un ponte immaginario tra la sua e la nostra epoca.
Suor Giulia, infatti, è nata in Molise alla fine del Cinquecento, da una famiglia poverissima; viene di fatto venduta a un mercante, che la terrà come serva e come amante bambina. Le vicissitudini della vita portano poi Giulia a Napoli: lì conoscerà prima l’amore carnale e le sue conseguenze, poi l’amore per il prossimo e per Dio. Divenuta terziaria francescana, imparerà a comunicare con Dio anche con il corpo, attraverso l’estasi. I suoi insegnamenti la porteranno ad avere un seguito numeroso, tra nobili, religiosi e gente comune, soprattutto donne. La chiameranno Partenope, come la mitologica sirena simbolo di Napoli. Tacciata di eresia, verrà arrestata e portata a Roma, torturata, costretta all’abiura. Nella città del Papa, poi, vivrà ancora un’altra vita: conoscerà Gian Lorenzo Bernini e le sue disavventure amorose, e sarà lì, nella chiesa di Santa Maria della Vittoria, che incontrerà, nella magia della finzione romanzesca, Sebastiano Vassalli, pronto ad ascoltare e a riportare al nostro presente tutto il corso di questa burrascosa vita.
È una storia sorprendente, quella di suor Partenope. Innanzitutto perché appare moderna, stracciando il velo che ci fa apparire il passato come qualcosa di molto distante, diverso dal nostro tempo. Vassalli mette in mostra elementi centrali oggi come allora, e li dipinge come continuamente in evoluzione attorno agli stessi fuochi: il ruolo della donna e della Chiesa, i rapporti sentimentali, la politica e la religione. I capitoli finali sul “Puttanesimo” a Roma nel Seicento sono in questo esemplari. Il parallelismo che Vassalli pare voler sottolineare viene però in parte svuotato dall’incertezza della validità storica del racconto, che sembra oscilli tra la necessità sacrosanta di un adattamento romanzesco delle fonti storiche e la pura invenzione di concatenamenti arbitrari, com’è per l’appunto la parte finale, romana, della storia di suor Giulia. Un chiarimento delle intenzioni dell’autore rispetto a questo tema sarebbe stato un bel gesto di trasparenza nei confronti del lettore. Un lettore che, purtroppo, potrebbe giungere al finale con più d’un retrogusto amaro in bocca.
L’aspetto della veridicità storica degli avvenimenti non è infatti l’unico elemento che potrebbe risultare deludente. Lo stile della narrazione, per esempio, alla lunga rischia di far scivolare chi legge nell’apatia: in Io, Partenope la scrittura di Vassalli è molto asciutta, nitida, ma forse proprio per questo piatta, bidimensionale. Spesso non riesce a emozionare, a comunicare il colore della vicenda: il tutto risulta grigio, insipido, e chi si aspetta di farsi incantare da uno stile all’altezza della storia potrebbe essere deluso.
A questo si collega anche il cosiddetto “elefante nella stanza” del romanzo: l’estasi. Il centro vero e potente della storia viene solo sfiorato, mai attraversato; è comprensibile che Vassalli non abbia voluto entrare nello specifico di un mistero che, soprattutto in un romanzo con elementi storici, dev’essere davvero difficile esplicitare senza un’invenzione, una fantasia. Proprio per questo però poteva esserne il punto focale: un tuffarsi nell’ignoto che avrebbe potuto legare a sé tutti gli avvenimenti in modo più appassionato e affascinante.
Come altre, grandi cose umane, però, la letteratura non si fa con i “se”. Vassalli sceglie di raccontare senza scavare nelle ragioni profonde, nel mistero più ignoto, ma limitandosi a osservare, con nettezza, la scia di un’esistenza sullo sfondo del nostro lungo, complicato passato comune: la narrazione di suor Giulia è una storia che vuole essere eco di una Storia; è una vita in cui si ode già l’eco della vita che sarà, in un cortocircuito reso esplicito dalla presenza impossibile di Vassalli nelle ombre di una chiesa nel Seicento. Ultimo tassello di questa sua ricerca, Io, Partenope è il segno finale che la ferma e la cristallizza: senza stupire, senza estasiare, ma legando i fili sparsi in un ultimo, piccolo nodo.
Fonte foto: http://wwwra.ansa.it/webimages/img_457x/2015/9/3/31babcd6b090964bbbbfb1e74b93cb67.jpg

