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La straniera: un viaggio nella libertà – Strada per lo Strega

Straniero è una parola bellissima, se nessuno ti costringe ad esserlo.

Claudia Durastanti, La straniera
La straniera

Se è vero, come dice l’autrice, che l’autobiografia è la bastarda dei generi letterari perché abbassa la soglia letteraria, questo non è certo il suo caso. Nata in America, figlia di genitori sordi emigrati negli anni Settanta, frutto e spettatrice di un matrimonio violento e di comunicazioni interrotte, a sei anni la protagonista si trasferisce in Basilicata. Questo ritorno alle origini è forse l’ultimo dei motivi per sentirsi straniera, ma, la costante ricerca di nuovo humus in cui mettere radici, è anche il primo a farla sentire libera. Non è solo un memoir, questo libro è un viaggio tra continenti, generazioni e linguaggi. La tensione narrativa non si perde mai, è un racconto durante il quale, proprio come la madre della protagonista nella vita reale, ci si chiede “ma è una storia vera?”. La questione interessa giusto il tempo di voltare pagina, perché si è trasportati nel viaggio con l’autrice, un viaggio tortuoso in cui non sono i paesaggi a prendere il sopravvento.

La scrittrice ci porta per mano attraverso la sua vita, le sue paure; ci spaventa e ci fa sorridere. «Non c’è un singolo atto di violenza nella mia vita ˗ dice più volte la Durastanti ˗ che io riesca a ricordare senza ridere»: il distacco apparente con cui racconta di minacce, rapimenti, solitudine, traumi, eleva all’empatia. Poi con le sue domande ci costringe a riflettere e a volte ci consola, ma senza che ne abbia avuto l’intenzione. Le profonde osservazioni sull’uomo, sulla società, sul linguaggio portano a tratti un senso di smarrimento nel lettore, che a un certo punto non sa più se si trova a Brooklin o in Basilicata, perché in ogni caso sente di essere straniero; ma Claudia annulla le differenze, induce alla libertà dai preconcetti, capovolge cliché: «L’incapacità di fare cose che dovremmo saper fare, l’impossibilità di vedere, sentire, ricordare o camminare non è un’eccezione quanto una destinazione».

Come in una stanza semianecoica la sua scrittura porta a sentirci dentro. Travalica i limiti dei sensi. Così la copertina: sembra un invito alla comprensione e alla scoperta senza l’uso dei sensi, non c’è il tatto, non c’è l’udito, non c’è  la vista…forse non c’è neanche la realtà. A volte l’autrice raggiunge accenti pirandelliani: «mia madre è sempre la stessa, ma io sono stata la figlia di donne diverse. All’inizio era un’handicappata. Poi è diventata una disabile. Per attimi è stata una donna diversamente abile, ma tutti siamo diversamente abili. A un certo punto non era che una pazza. Oggi è una persona che sta su internet».

Che cos’è la disabilità in un contesto in cui tutti parlano in maniera diversa? Quali sono i confini della parola immigrato? Non può considerarsi immigrato anche chi, stando sempre nello stesso luogo, immagina di vivere da tutt’altra parte? Quand’è che vivere nella “anormalità” mette gli altri nella condizione di interrogarsi sulla propria “normalità”?

La narrazione si dipana in uno stile letterario ricco di riferimenti aulici ma anche popolari, risultato di un’ossessiva ricerca della proprietà lessicale. Un imperdibile viaggio generazionale in un triangolo tra America, Italia, Inghilterra. La storia coraggiosa di una madre e l’amore di una figlia, o forse il contrario. Un romanzo, La straniera, che vale il premio all’autrice e dona diletto intellettuale al lettore.

Roberta Toraldo

Nella puntata precedente: http://www.mastereditoria.it/ilblog/rumore-del-mondo-benedetta-cibrario-strada-strega/