
«Guardare l’abisso con gli occhi degli altri»: L’arte di legare le persone di Paolo Milone – Recensione
Se vedo qualcuno che si sporge,
offro la mano per non farlo cadere,
e mentre lo tengo gli chiedo cosa vede.
Sono un vigliacco:
io guardo l’abisso con gli occhi degli altri.
Così descrive il suo lavoro Paolo Milone, psichiatra di lunga esperienza, da anni impiegato in un reparto di Psichiatria d’urgenza a Genova, il reparto 77, ambientazione della maggior parte delle vicende raccontate. Questo è il suo primo libro, uscito nella collana “Supercoralli” di Einaudi a gennaio 2021.
Milone racconta in prima persona le difficoltà della malattia mentale, per chi le vive e per chi se ne occupa lavorativamente.
La scelta narrativa
La narrazione è un susseguirsi di brevi paragrafi in cui si alternano le storie dei pazienti, dei colleghi, la vita professionale e personale del protagonista, il tutto in un flusso di coscienza che crea contrasto e dà allo stesso tempo un grande senso di realtà: un attimo prima lo psichiatra è costretto a confrontarsi con il dramma del suicidio di una ragazza che aveva in cura, un attimo dopo deve ricordarsi di comprare il latte prima di tornare a casa per evitare la solita discussione con la moglie.
L’umanità viene messa a nudo, sia quella dei malati che quella dei curanti. Ecco così che in duecento pagine ci imbattiamo nell’esperienza quarantennale di Milone, che con stile essenziale e incisivo ci fa conoscere autolesionisti, manipolatori, depressi, bipolari, euforici, alcolizzati, tossici, paranoici, violenti, schizofrenici, colleghi arrivisti e colleghi saggi, infermieri che durante il turno di lavoro tirano la pasta per gli gnocchi ma hanno la saggezza di chi sa riconoscere al primo sguardo come agire con un paziente critico.
Milone narra con ironia la complessità nel destreggiarsi con “l’abisso” e la vita di tutti i giorni e quanto sia complicato, per qualcuno all’esterno, comprenderlo:
Anna, dentro di me c’è l’eco della tragedia del mondo.
Paolo, porta giù la spazzatura
o te lo faccio sentire io l’eco della tragedia del mondo.
Milone propone una visione del suo lavoro desacralizzata, realistica, l’aspetto intimo dello psichiatra è raccontato anche negli aspetti più controversi, da una parte l’interesse per il paziente e la professionalità, dall’altra la fatica umana nel gestirlo:
Lucrezia, da tre mesi mi telefoni tre volte al giorno, per essere sicura che sei viva. Lucrezia, ora vengo lì e ti ammazzo io.
Il protagonista ci racconta una professione dove la sfera emotiva è coinvolta senza possibilità di difesa, dove si crea un’inevitabile vicinanza anche affettiva ai pazienti e non si riesce a lasciar fuori le emozioni degli altri:
Talvolta mi passi un tal senso di solitudine che io, appena finisco il colloquio, devo telefonare a mia moglie; se non la trovo, a mia figlia; se non la trovo, a un amico. Dico: sono io, e poi non so dire perché ho chiamato.
A fare da sfondo è la città di Genova, con il mare e i suoi vicoli.
Il titolo
Il titolo, provocatorio, può essere interpretato in modo duplice. Il “legare le persone” riguarda il dibattito che attraversa la psichiatria sulla necessità di legare o meno i pazienti al letto in situazioni particolarmente complesse: Milone si esprime a favore. Dunque, da una parte la contenzione ritenuta necessaria (concetto che ribadisce anche in un’intervista), dall’altra il legare le persone alla realtà, riportarle a contatto con il mondo, con loro stesse, e l’autore indica che per raggiungere il secondo obiettivo spesso si rende necessaria la prima azione: “legare le persone” non è per l’autore privazione di libertà, ma, anzi, possibilità per il paziente di venire curato e recuperare così la propria capacità decisionale, minata dalla malattia. Riguardo la libertà del paziente, Milone ragiona anche sulla tematica del suicidio in alcune pagine molto toccanti.
L’arte di legare le persone è un libro molto coinvolgente, dove l’autore ricorda che lo psichiatra oltre che un professionista è un uomo, che spesso si ritrova a dover mettere in campo soluzioni inedite, improvvisando competenze che non sapeva di avere, attingendo alla propria esperienza personale, perché «per lo psichiatra la vita è come il maiale: non si butta via niente»; un uomo che deve fare i conti con le difficoltà degli altri dominando le sue e che, come affermato ironicamente da Milone, «dopo aver ascoltato tutta la settimana i problemi dei suoi pazienti, la domenica può finalmente ascoltare quelli dei suoi amici».
Maura Pruneri

