
L’attesa: una graphic novel per raccontare il dramma della Corea divisa
Quando scoprii che i miei genitori erano membri di famiglie divise durante la guerra, facevo la quinta elementare. Era il 1983… […] Mamma e papà, per ritrovare le loro famiglie, prepararono dei cartelli e aspettarono di fronte alla stazione televisiva KBS nella zona di Yeouido, a Seoul. A quel tempo, a me importava ben poco di tutto ciò… […] Non sapevo niente della guerra o delle famiglie separate, ma quando la maestra ci chiedeva di fare un disegno anticomunista, io ci lavoravo sodo. Ci faceva anche scrivere a chi svolgeva il servizio militare. Incoraggiavamo i nostri soldati per difenderci dai fantocci nordcoreani. Era un tipo di compito che tutti i bambini della Repubblica di Corea dovevano svolgere.
Scritto come un manhwa coreano, che prevede la lettura da sinistra a destra, ma accomunato ai manga giapponesi per le tavole in bianco e nero, L’attesa di Keum Suk Gendry-Kim, edita da Bao Publishing, racconta il dramma delle migliaia di famiglie coreane improvvisamente separate dalla scissione del paese lungo la linea del 38° parallelo. L’autrice torna in Italia dopo il successo, nel 2018, della graphic novel Le Malerbe, incentrato sulle tragiche esperienze delle comfort women coreane durante il periodo dell’occupazione giapponese, e di Jun, nel 2021, in cui fa emergere i pregiudizi della società coreana nei confronti dell’autismo.
Per raccontare la Guerra di Corea e la successiva divisione in Corea del Nord e Repubblica di Corea, Gendry-Kim parte dalla propria storia familiare. L’autrice ha soltanto dodici anni quando scopre l’esistenza di una zia, sorella di sua madre, scomparsa a seguito del conflitto, e una volta adulta decide di registrare i ricordi della madre Gwi-Ja, per far sì che la memoria di quegli eventi non vada persa. Non si tratta, tuttavia, di un racconto biografico, poiché le sue vicende personali si intrecciano ai ricordi di altri testimoni, che vanno ad arricchire il racconto[1].
La narrazione si sposta tra due diversi piani temporali. Da un lato l’azione si svolge nel 2018, anno dell’ultimo ricongiungimento familiare intercoreano, in cui l’autrice Gendry-Kim cerca di ricostruire, insieme all’anziana madre, le vicissitudini che l’hanno portata a diventare una rifugiata in Corea del Sud. Dall’altro, attraverso una serie di flashback, viene ricostruita la storia di Gwi-Ja: l’infanzia nel nord del paese negli anni trenta, il reclutamento degli uomini della famiglia nell’esercito giapponese, il matrimonio combinato, la fuga con il marito e i figli verso sud.
Uno degli aspetti più interessanti della graphic novel è quello di voler mettere in luce le disparità di genere che affliggono le donne coreane. Tramite i ricordi della stessa Gwi-Ja, il lettore entra in contatto con un mondo rurale fatto di completa sottomissione agli uomini della famiglia. È attraverso perle di saggezza popolare che si insegna alle ragazze, poco più che adolescenti, che «quando una figlia si sposa diventa un’estranea», per sottolineare come debba assecondare il volere del marito, oppure che dopo il matrimonio una donna debba trascorrere «tre anni come una sorda, tre anni come una muta e altri tre come una schiava» per mantenere un ambiente familiare sereno.
Allo stesso tempo emerge la forza delle donne, seppure in un contesto rigidamente patriarcale: un esempio è costituito dalla madre di Gwi-Ja, che nasconde la figlia sulle montagne per evitare che possa essere ridotta in schiavitù sessuale dai giapponesi e che arriva a combinarne il matrimonio pur di salvarla; oppure c’è il caso delle “spose occidentali”, donne nordcoreane costrette a prostituirsi negli accampamenti militari americani per far sopravvivere i figli.
La Storia entra prepotentemente nella vita della gente comune a seguito dell’invasione comunista (guidata dal dittatore nordcoreano Kim Il-Sung con l’alleanza di Cina e Unione Sovietica), trasformando all’improvviso migliaia di coreani in rifugiati, che scappano dal nord del paese verso la zona di occupazione americana, e provocando una vera e propria separazione forzata tra membri delle stesse famiglie. Così Gwi-Ja si trova sola, senza alcuna notizia del marito e del figlio, eppure è costretta dagli eventi a continuare il cammino verso sud per mettere in salvo sé stessa e la figlia appena nata. Sebbene siano passati anni, Gwi-Ja non ha mai perso la speranza di ritrovare il figlio disperso e le sue ricerche sembrano finalmente concretizzarsi quando la figlia le promette di rintracciarlo grazie all’aiuto della Croce Rossa Internazionale.
Molto tempo fa ho fatto una promessa a mia madre. Le ho giurato di ritrovare il suo primo figlio. Chissà come mi è venuto in mente di farle una promessa del genere. In quel momento ero stata sincera. Però… tra una cosa e l’altra me ne dimenticavo. Era come se quella promessa appartenesse a una vita passata…
Attraverso i suoi disegni, Keum Suk Gendry-Kim mostra come la società coreana odierna risulti spaccata in due: se le persone più anziane, testimoni dirette della guerra, continuano a confidare in una futura riunificazione del paese, che li porterebbe a riabbracciare i propri cari, nelle nuove generazioni questa speranza risulta del tutto assente. Dopo decenni di divisione politica, Corea del Nord e Corea del Sud sono ormai due stati differenti, e sebbene siano accomunati da lingua e cultura comuni, i più giovani sono consapevoli che non ci potrà mai essere alcuna riconciliazione.
Ho cercato di comprendere con la ragione, perché con il cuore ci ho rinunciato. E l’ho fatto per me stessa, perché mia madre non cambierà.
Cristina Critelli
[1] Gabriele Di Francesco, Le ferite mai sanate della Corea divisa, in “Robinson”, 330 (2023), pp. 36-37.

