LE NOTTI BIANCHE: INTERVISTA A LUDOVICA, LIBRAIA INDIPENDENTE A VIGEVANO

Entrare a Le notti bianche, nel centro di Vigevano, è come entrare in un mondo fatto di libri scelti con cura, gruppi di lettura appassionati, eventi culturali vivi. Da dieci anni Ludovica porta avanti questa libreria indipendente con passione e competenza. L’ho intervistata per raccontare cosa significa essere libraia oggi, tra sfide quotidiane, relazioni con i lettori e un amore sincero per i libri.
Come sei diventata libraia?
Facendo la libraia, racconta Ludovica sorridendo. Avevo vent’anni e studiavo Critica della letteratura contemporanea alla Statale di Milano. Ho iniziato a lavorare in una libreria di Vigevano, il Convivio – oggi non esiste più – e ho capito che quello era il mio posto. Dopo la laurea triennale, ho completato la magistrale in Editoria, fatto un’esperienza al Castoro, e poi ho deciso di aprire la mia libreria qui, dove ormai vivevo.
Cosa significa oggi gestire una libreria indipendente?
Significa far quadrare i conti. È la prima cosa da sapere, anche se nessuno te lo dice. Una libreria è un’azienda: piccola, ma con tutte le responsabilità economiche. Diversamente dalle catene, noi indipendenti paghiamo tutti i libri che abbiamo in negozio, non solo quelli venduti. È un lavoro imprenditoriale, prima ancora che culturale. Poi, certo, c’è la selezione del catalogo, la libertà di scelta, il legame col territorio: tutte cose bellissime, ma che si reggono su una base concreta.
Come selezioni i libri da proporre?
È un mix di intuito, esperienza e conoscenza del contesto. Cambia molto da città a città: Roma non è Vigevano. Bisogna essere aggiornati, seguire ciò che succede nel mercato editoriale, ma anche proporre titoli di qualità che sappiano lasciare qualcosa. Una buona libreria è sempre una scommessa sulla lettura.
Hai notato cambiamenti nei gusti dei lettori?
Sì, ma soprattutto ho notato che chi legge, legge tantissimo. I miei lettori sono molto attivi, anche grazie ai gruppi di lettura che organizzo. Ci sono mode passeggere – i romanzi giapponesi con caffetterie, pasticcerie, lavanderie – ma alla fine vince sempre una bella storia scritta bene.
I gruppi di lettura sono importanti per la libreria?
Fondamentali. Ne ho nove attivi, due anche online. Sono nati fin da subito, e oggi sono l’ossatura della libreria. Offrono uno spazio di confronto, aggregazione e fidelizzazione. Fanno parte del mio lavoro culturale e, anche da un punto di vista economico, funzionano.
Che ruolo hanno i social per una libreria indipendente?
Oggi sono indispensabili. Ma gestirli bene è un altro lavoro: richiede tempo, idee, grafica, comunicazione. Devi raccontarti, ma non troppo. E soprattutto devi riuscire a trasformare chi ti segue in un cliente reale, cosa per nulla scontata. I social servono a creare un legame, a dare un motivo per scegliere te, anche se sei a un’ora di treno dalla libreria e circondato da competitor giganti.
Organizzi molti eventi. Che impatto hanno sulla vita culturale della città?
Spero alto, ma bisognerebbe chiederlo ai vigevanesi. Faccio presentazioni, corsi, gruppi di lettura, festival. Collaboro con editori importanti e ospitiamo anche autori premiati. C’è varietà, continuità, passione. La libreria vuole essere un punto di riferimento per chi ha voglia di leggere e partecipare.
Come si comportano i giovani lettori?
I bambini vengono grazie alle attività con le famiglie. Gli adolescenti, invece, spesso li perdo: si sentono osservati, come se entrassero in un luogo dove si viene giudicati. In realtà non è così, ma lo capiscono crescendo. Tornano quando cercano consigli personalizzati o un’alternativa alla grande distribuzione.
Come disponi i libri in libreria?
La disposizione cambia spesso: seguo i temi, gli eventi, il calendario editoriale. Ho vetrine tematiche – la più grande è per i bambini – e cerco un equilibrio tra titoli molto venduti e proposte più personali. Nelle librerie indipendenti non si paga per stare in vetrina, a differenza delle catene. Ogni scelta è una dichiarazione di identità.
C’è un libro che consigli più spesso?
Sì: Le case del malcontento di Sacha Naspini, un autore che meriterebbe molta più attenzione, e Le ore di Michael Cunningham, che per me è un libro della vita. Ma il consiglio cambia sempre: non propongo mai solo in base ai miei gusti. Conta la qualità, non solo il gusto personale.
Che consiglio daresti a chi sogna di aprire una libreria o lavorare nei libri?
Di abbandonare l’idea romantica della libreria con il gatto in vetrina. È un lavoro bellissimo, ma faticoso, anche fisicamente. Prima bisogna conoscere la filiera editoriale, sapere come funziona davvero il mercato, e valutare bene il territorio. E poi, certo: avere tanta passione, perché di spazio ce n’è poco, ma qualcosa si può sempre fare meglio.
Essere libraia, oggi, è molto più che vendere libri: è costruire legami, scegliere con cura, reggere il peso del concreto senza mai perdere la forza del sogno.
Intervista a cura di Matilde Sartorio