Mondo Editoriale

«Montalbano, je suis»: l’invenzione del vigatese e le sue traduzioni nel mondo

«Ormai Montalbano è un ricattatore perché mi si presenta e dice “Ma te lo immaginavi tutto ‘sto successo? Se non era per me che ogni giorno venivo e ti dicevo – Scrivimi – non l’avresti avuto”. E quindi mi ricatta. Ma come si fa a rinunciare a Montalbano? Non ne posso fare a meno».

Così Andrea Camilleri, scomparso il 17 luglio 2019, parlava del suo commissario in un’intervista televisiva di B. Berlinguer al programma Cartabianca, il 20 febbraio 2018.

La prima apparizione del commissario Montalbano risale al 1994, nel romanzo La forma dell’acqua (Sellerio): da lì Camilleri non ne ha davvero più fatto a meno arrivando, 25 anni dopo e a pochissimi mesi dalla scomparsa, a scrivere Il cuoco dell’Alcyon (Sellerio, 2019),  una nuova e travolgente avventura di Montalbano che si apre con i licenziamenti degli impiegati e degli operai di una fabbrica di scafi gestita da un padroncino vizioso e senza ritegno, detto Giogiò.

Più di una volta gli allievi del Master in “Professioni e prodotti dell’editoria” si sono occupati di Camilleri, analizzando le sue opere e i suoi personaggi, soprattutto dal punto di vista linguistico.

Flavio Mainetti ha scritto il saggio Da Vigata a Parigi. Le traduzioni francesi di Andrea Camilleri, all’interno del libro Echi da Babele. La voce del traduttore nel mondo editoriale (Edizioni Santa Caterina, 2016), volume che raccoglie gli studi di tutti gli alunni dell’edizione 2016 del Master in Editoria e che è incentrato proprio sull’arte silenziosa e discreta del tradurre. In questo saggio, Mainetti racconta l’imperitura fortuna degli intrecci della serie di Montalbano, sottolineando il ruolo cruciale di un linguaggio originale ed elaborato, divenuto parte dell’immaginario collettivo di un gran numero di lettori e in seguito trasmesso anche al pubblico televisivo: «La lingua utilizzata da Camilleri», spiega Mainetti, «è un intreccio tra italiano canonico, dialetto di Sicilia e sonorità caratteristiche dell’isola e in particolare della provincia di Agrigento».

Lo studio si sposta poi sulle traduzioni in francese dei romanzi di Camilleri, soffermandosi sulle differenze metodologiche operate dai due traduttori che hanno lavorato sul maggior numero di titoli: da una parte abbiamo Dominique Vittoz, che si approccia al lavoro di traduzione partendo dal presupposto che «le parole in dialetto irradiano suoni, odori, colori»[1]; ecco perché Vittoz, come spiega nel dettaglio Mainetti, «crea un francese meticcio che attinge a piene mani dalla parlata francoprovenzale di Lione ormai in disuso. Dove possibile, le singole parole siciliane sono sostituite da termini lionesi»[2].

Dall’altra parte abbiamo invece Serge Quadruppani, che traduce Camilleri cercando di far risaltare il divario tra dialetto e italiano, attingendo dai gerghi del sud della Francia, in particolare dal marsigliese. In Italia il regionalismo è considerato patrimonio prezioso, a differenza della Francia, dove il forte centralismo non farebbe avvertire la lingua di Montalbano come una ricchezza. Quadruppani vuole riproporre il suono, la parlata di Montalbano e dei suoi, e allora forza il francese. Lui traduce Montalbano sono” con Montalbano je suis, che in francese è un azzardo, ma restituisce bene il carattere del protagonista, un eroe burbero e integerrimo, con uno spirito solitario e a tratti selvatico.

Anche Cristina Bassi si è occupata dello scrittore di Porto Empedocle nel suo saggio Oltre le porte della Sicilia. Montalbano: nascita e affermazione di un successo mondiale, raccolto nel volume prodotto dagli allievi dell’edizione 2018, Editoriale, Watson! Libri gialli sotto indagine (Edizioni Santa Caterina, 2018). Bassi spiega che «quella che Camilleri ha inventato è una nuova lingua, il vigatese, formata dalla commistione di varie forme del dialetto siculo, a volte arcaiche, e l’italiano»[3]. I romanzi dello scrittore siciliano, specie quelli del commissario, sono stati tradotti in trenta lingue differenti, facendo di Camilleri l’autore italiano più conosciuto all’estero, insieme a Elena Ferrante. Cristina Bassi si domanda come si saranno confrontati i traduttori di tutto il mondo con espressioni idiomatiche come «Montalbano sono» o modi di dire totalmente dialettali come «Futtiri addritta e caminari na rina/ portanu l’omu a la ruvina».

Oltre alle già analizzate traduzioni francesi, Bassi si sofferma, tra le altre, su quelle spagnole: «Se in Francia la lingua ha subìto un processo di unificazione massiccia, tra l’Italia e la Spagna ci sono molte più assonanze per ciò che concerne il vasto numero di dialetti parlati correntemente. È questo il motivo per cui sul versante iberico si annoverano ben quattro diverse traduzioni, in basco, in castigliano, in catalano e in galiziano, per un totale di ben dodici traduttori differenti».[4]

Quello che è certo è che la lingua di Camilleri è un unicum prezioso che si è costruito nel tempo e che rende inimitabili le opere dello scrittore; lui stesso parla della creazione di questo linguaggio, specificando che  «non si tratta di incastonare parole in dialetto all’interno di frasi strutturalmente italiane, quanto piuttosto di seguire il flusso di un suono, componendo una sorta di partitura che invece delle note adopera il suono delle parole. Per arrivare ad un impasto unico, dove non si riconosce più il lavoro strutturale che c’è dietro. Il risultato deve avere la consistenza della farina lievitata e pronta a diventare pane».[5]

 

 

[1] D. VITTOZ, Quale francese per tradurre Camilleri? Una proposta non pacifica, in Il caso Camilleri. Letteratura e storia, Sellerio, Palermo, 2004, p. 192.

[2] F. MAINETTI, Da Vigata a Parigi. Le traduzioni francesi di Andrea Camilleri, p.165; in Echi da Babele. La voce del traduttore nel mondo editoriale, Edizioni Santa Caterina, Pavia, 2016.

[3] C. BASSI, Oltre le porte della Sicilia. Montalbano: nascita e affermazione di un successo mondiale, p. 35; in Editoriale, Watson! Libri gialli sotto indagine, Edizioni Santa Caterina, 2018.

[4] C. BASSI, Oltre le porte della Sicilia. Montalbano: nascita e affermazione di un successo mondiale, p. 38.

[5] A. CAMILLERI, T. DE MAURO, La lingua batte dove il dente duoleEditori Laterza, 2013.

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