Recensioni

“Non sono (solo) affari loro”, l’ultimo libro delle Edizioni Santa Caterina

Non sono affari loro.

Dialoghi sulle mafie nell’economia italiana.

A cura di Giovanna Torre. Introduzione di Enzo Ciconte.

Edizioni Santa Caterina, 2017.

12€, pp. 145.

Recensione di Ilaria Pasca e Erika Repetto

Oggi primo maggio, Festa internazionale del lavoro, vogliamo rendere omaggio ai lavoratori parlando di un argomento scomodo che li interessa molto da vicino: la mafia e la sua evoluzione.

Grazie alla rettrice del Collegio Santa Caterina da Siena di Pavia, Giovanna Torre, quest’anno è stato pubblicato un libro riguardante proprio questo tema, “Non sono affari loro. Dialoghi sulle mafie nell’economia italiana”. Si tratta della raccolta del ciclo di conferenze tenutosi nel 2016 al Collegio Santa Caterina in occasione del corso di Storia delle mafie italiane, che ha visto come ospiti importanti esponenti pubblici della lotta contro le mafie come il Procuratore Michele Prestipino, l’onorevole Rosy Bindi, il professor Rocco Sciarrone, lo scrittore e docente Enzo Ciconte, l’ex magistrato Gian Carlo Caselli e molti altri che, per lavoro o per sfortuna, con le mafie vengono a contatto ogni giorno.

Quella di oggi è una mafia silente. Non si porta più la coppola e non gambizza più per la strada. I mafiosi di oggi non hanno interesse a farsi riconoscere.”

Inizia con questa considerazione la presentazione del nuovo libro delle Edizioni Santa Caterina in occasione della nuova fiera dell’editoria italiana Tempo di Libri, da parte della rettrice del Collegio Santa Caterina Giovanna Torre, di Gian Carlo Caselli e di Enzo Ciconte, moderati dalla giornalista del Sole 24 Ore Serena Uccello. La giornalista sottolinea subito il costante impegno del Collegio alla lotta e all’informazione contro la mafia, indicando il polo studentesco come “Un moderno pensatoio sull’attualità politica e sociale”.

Durante la presentazione si è parlato dei nuovi luoghi, economici e fisici, in cui la mafia tenta di infiltrarsi. Perché questa realtà non è più solo un problema del meridione, anche del nord Italia si sono individuati nuclei mafiosi, i più importanti legati a la ‘ndrangheta. Durante questo passaggio le mafie si sono evolute, puntando a trovare campi dai rischi minimi e dai guadagni assicurati, non solo concentrandosi su settori illegali ma facendo suoi anche quelli totalmente legali. Un campo particolarmente a rischio è diventato quello alimentare, studiato da Gian Carlo Caselli grazie all’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare: “La mafia silente è sempre più presente nel settore agroalimentare a causa della sofferenza”. Sofferenza dell’economia certo, ma anche, e soprattutto, del lavoratore, non tutelato dai sindacati e disposto a sopportare veri e propri sistemi di caporalato e di sfruttamento pur di lavorare.

I mafiosi non avranno più interesse a farsi riconoscere, ma non vuole dire che siano meno presenti nella nostra realtà economica, politica e sociale. Di tutto questo parla Ilaria Pasca nella sua recensione a “Non sono affari”, perché, in fondo, sono affari di tutti.

 

 

La legalità conviene. “La legalità conviene ovunque”. Il binomio su cui si basano tutti i ragionamenti contenuti in questo libro è proprio quello di legalità e sviluppo: non solo economico, ma anche sociale, etico. In altre parole reale. Perché questo sviluppo si renda possibile è necessario apprendere nuovamente cosa è la mafia e come, dove, quando agisce nel nostro Paese. La mafia, infatti, è profondamente cambiata: non è più stragista, non ricorre più ad un uso spettacolarizzato ed esibito della violenza. Quella mafia è terminata. E questa è una grande vittoria, per noi tutti. Una vittoria di cui è importantissimo appropriarci, come sottolinea Enzo Ciconte in queste pagine.

Tuttavia, la mafia continua ad esistere e a condizionare pesantemente la nostra vita sociale ed economica. Lo fa in maniera diversa. Pertanto, è non solo ingenuo, ma anche controproducente continuare a pensare la mafia com’era venti anni fa. I mafiosi non possono più essere immaginati come loschi figuri provinciali, rozzi e ignoranti. La mafia non può più essere considerata un problema esclusivo del sud, che agisce solo a livello locale. Fare questo ragionamento infatti ha degli effetti collaterali, perché ignorando o mistificando la realtà si perde (o si rinuncia, addirittura) alla possibilità di agire su di essa per modificarla. Perché se c’è qualcosa che possiamo imparare dalla nostra storia è che la mafia non è congenita, si può sconfiggere.

Questo libro parte presumibilmente dalle stesse premesse. Anzi, il progetto è ancora più grandioso, perché nasce non da una volontà accademica, quanto piuttosto da un’aula viva e affollata. Se giovani e meno giovani, uomini e donne, esperti e studenti, si incontrano per parlare di mafia possiamo già gridare di entusiasmo, perché un passo è già stato compiuto. Ma questo passo in realtà è parte di una progettualità più ampia: nel corso di quattro anni (e pensiamo che il ciclo continuerà) si sono tenuti al Collegio Santa Caterina da Siena di Pavia delle “lezioni” bellissime, nelle quali si è cercato di fare informazione, di fare critica, di dare voce alla legalità. Questo libro è l’espressione scritta di questi incontri. È quindi una buona occasione per recuperare quello che si è perso, se si è mancati agli appuntamenti.

Dico “lezioni” usando le detestabili virgolette solo per una ragione. Non si tratta di lezioni, si tratta di conversazioni. Ci sono sì grandi esperti della lotta alla mafia, persone che sanno dare profondità e senso critico a discorsi che altrimenti rischierebbero di vestirsi di populismo. E questi addetti ai lavori sono la cifra del valore di questo libro e degli incontri che lo hanno prodotto. Ma non si può parlare di lezioni tout court perché non si insegna, quanto piuttosto si ragiona insieme. Anzi, proprio il ragionare insieme è valore aggiunto, perché rappresenta uno dei leit motif del volume: cioè che se il discorso sulla mafia non è percepito dal basso, dalla società tutta, difficilmente potrà rendersi valido, spendibile, rivoluzionario. A riprova di ciò, i ragionamenti portati avanti nel libro sono accompagnati dal racconto delle vicende reali di persone comuni, che hanno avuto il coraggio di opporsi alla prassi mafiosa, senza schiamazzi e senza richiedere onori, ma con la semplicità di un gesto che dovrebbe appartenere a tutti noi.

Di cosa parla questo libro? Parla di mafia, certo, ma con un taglio specifico, per la prima volta nel corso di questi quattro anni. Si indaga infatti il ruolo della mafia nel contesto economico della nostra società. Abbiamo infatti iniziato questo ragionamento parlando della necessità di comprendere la mafia nella sua configurazione attuale. Abbiamo detto che la mafia si è trasformata. In che modo? Potremmo parlare di una mafia che ha fatto proprie le regole del capitalismo e della globalizzazione e che si è in qualche modo riposizionata nel nuovo sistema economico. Da ciò l’esigenza di andarla a rintracciare in contesti nuovi, sia per natura che per posizionamento geografico. La mafia è diventata economica, borghese. Non ha perso la sua forza ma ha modificato i suoi strumenti e si ritrova là dove si creano aree grigie. Nel libro si seguono vari percorsi. Dalla filiera agroalimentare, con episodi di sfruttamento dei lavoratori e inganno al consumatore, al gioco d’azzardo, alla questione dell’edilizia, che crea gravissimi rischi di salute e sicurezza pubblica. E ancora, appalti, subappalti, finanza, racket, estorsioni, intimidazioni. La mafia ha cambiato la sua geografia, non è più un fenomeno localizzato in alcune regioni del sud Italia, ma si è diffusa: nel centro, nel nord, anche fuori dal nostro paese. E come tale va analizzata e contrastata.

Grande merito di questo libro è quello di far emergere con fermezza un aspetto in particolare. Se la questione mafiosa è da porsi in termini nuovi, è importante anche saperla descrivere in modo nuovo. Può sembrare banale (ma è invece molto sottile) sottolineare che usare i termini giusti per indicare il fenomeno mafioso è un modo potente di riflettere su questa criminalità e di contrastarla. Spesso infatti, si spiega nel volume, si sono creati modi di dire soft, che attenuano o addirittura caricaturizzano la componente criminale di alcuni gesti. Un esempio lampante è quello di “gioco lecito” che non ha nulla della caratura moralmente e legalmente inaccettabile di “gioco d’azzardo”. Molti sono i casi in cui, tra queste pagine, il lettore si trova a riflettere fra sé e sé sulle parole che usa, sulla sua capacità di riconoscere il torto, sul suo coraggio. Indagare il senso delle parole è un modo più che sensato per combattere la mafia, in tutte le sue manifestazioni.

Del resto, anche questo libro nasce come parola contro la mafia. Raccoglie e consegna ad un pubblico più ampio le parole di chi, in un’aula, ha saputo trasmettere, con la forza delle proprie parole, il valore di una giustizia che va rispettata e, soprattutto, coltivata e tutelata ogni giorno. È soltanto una parola, ma superbamente efficace, quella di chi trova il coraggio di dire no e si fa portavoce di un’alternativa possibile alla mafia e all’omertà. È parola la Costituzione, che riecheggia in queste pagine, che sancisce la superiorità della salute, della vita e della dignità umana di fronte al mero profitto. Sono parole quelle di chi racconta, quelle di chi insegna, quelle di chi ascolta e di chi legge.

La circolazione di queste parole buone e, con esse, delle “buone pratiche”, alternative etiche e legali, può realmente essere un modo per incidere sulla realtà mafiosa del nostro paese. Con questo libro, si prova insomma a dare una chiave interpretativa del fenomeno mafioso. Comprendere la realtà, analizzarla da vicino, senza ricorrere né al sensazionalismo né alla mistificazione: questo è quello che si può (e forse si deve?) fare.

 

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