Non superare le dosi consigliate
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Non superare le dosi consigliate – Recensione

Oggi tutti parlano di cibo, tutti si riempiono la bocca, ma poi nessuno mangia. Anche i cuochi della tv stanno attentissimi. Dire che ti piace mangiare va di moda, ma farlo è un’altra cosa, soprattutto se sei donna.

È difficile parlare di obesità e anoressia, di fat shaming e di binging, perché inevitabilmente ancora oggi i disturbi alimentari sono considerati argomenti scomodi. E l’autrice, Costanza Rizzacasa d’Orsogna, nel suo romanzo d’esordio Non superare le dosi consigliate, edito da Guanda nel febbraio 2020, ha deciso di raccontarli.

La vita non si conta in anni ma in chili

Per le persone normopeso questa può considerarsi una stranezza, una morbosità. Eppure quello che capita a Matilde, la protagonista del romanzo, è di iniziare a scandire le proprie esperienze di vita facendole coincidere con il peso di quel momento. Matilde possiamo immaginarla come la figura di donna stilizzata sulla copertina, con una fluente chioma corvina che simboleggia la selva intricata dei suoi pensieri. A caratterizzarla è però un atteggiamento impaurito: è infatti seduta mentre si aggrappa intimorita alle proprie ginocchia. Sono i sensi di colpa ad averla ridotta così o i continui giudizi della gente che la circonda?

La trama di “Non superare le dosi consigliate”

Matilde inizia a ingrassare a partire dai sei anni. In famiglia, la madre è bulimica, ma anche bellissima e perfezionista agli occhi della figlia. Il padre risulta una figura rassegnata, rimane al fianco della moglie per tutta la vita e quando poi lei scompare a causa di un tumore, si relaziona con una donna che la ormai adulta Matilde detesta. Lei, che fin da piccola rubava il pane e sognava che per questo le tagliassero le mani, da grande si ritrova a studiare nei migliori college americani, per poi tornare in Italia e intraprendere una relazione con un uomo cinico ed egoista. All’età di quarantaquattro anni così Matilde arriva a pesare 130 chili. Decide di non uscire praticamente più per i tre anni successivi, vittima dello sguardo giudicante della gente, che non sa guardare oltre i suoi chili in eccesso, considerati da lei come un guscio che protegge:

In realtà, quando sei grassa, sei solo una lumaca con la sua casetta, e il grasso è la casetta. Oppure un riccio. L’eleganza del riccio, il paradosso del riccio. Devo perdere gli aculei per far avvicinare gli altri? E se insieme col peso perdessi la mia empatia?

Una riflessione

Questo romanzo non lascia indifferenti. Ci interroga sull’invisibilità delle persone affette dai più diversi disturbi alimentari. Perché se è vero, come racconta l’autrice, che nei confronti dell’anoressia vi è quasi un senso di riverenza e fascinazione, dovuto ai modelli imposti dalla società, nei confronti delle persone bulimiche o affette da obesità, vi è la tendenza a ritenerle volgari, sconvenienti, a tratti inquietanti. E così esse diventano creature invisibili, considerate artefici colpevoli della loro stessa malattia.

Nel finale del romanzo si intravede però una luce. L’autrice sembra suggerirci che per allontanare i nostri demoni interiori occorre perdonarci le mancanze e gli errori. Solo così, accettando di essere fallibili e imperfetti, lasciamo da parte ideali di perfezionismo inarrivabili e iniziamo davvero a vivere.

Francesca Giacobino

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