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Senza fiducia non si può fare editing

Intervista all’editor e scrittrice Silva Ganzitti

Editor freelance, scrittrice di romanzi e finalista del Premio di Letteratura Nazionale Neri Pozza nel 2023. Silva Ganzitti parla della sua esperienza nel mondo dell’editing e di come essere una scrittrice la aiuti a migliorare il suo approccio con gli autori

Iniziamo parlando del suo percorso formativo. Da dove è iniziato tutto?

Negli anni Ottanta ho studiato lingue e letteratura all’università. In quegli anni non esistevano facoltà dedicate all’editoria, per cui chi iniziava a lavorare come editor ci arrivava per caso; ricordo, per esempio, che alcune mie compagne lo facevano come lavoretto. Per questa ragione ho deciso di seguire alcuni corsi offerti da casa editrici o agenzie letterarie: oggi tutti danno una formazione da editor, anche in base alle diverse possibilità economiche.

Oggi continua a seguire questi corsi?

Ogni tanto seguo ancora dei corsi per tenermi aggiornata con il mercato, ma la maggior parte delle cose che ho imparato le ho apprese con la gavetta, sul campo. La pratica è la parte più importante in assoluto.

Quando ha iniziato a lavorare come editor?

Ho iniziato a quarant’ anni e per cinque o sei anni ho fatto gavetta: l’editore mi assegnava da leggere e correggere i testi che gli interessavano di meno e solo dopo sei anni mi ha autorizzata a contattare gli autori e a parlare direttamente con loro. Dopo otto anni circa sono diventata capo editor, cioè, ero a capo del comitato editoriale nella scelta di un testo.

Quindi ha lavorato internamente alla casa editrice?

Non sono mai stata dipendente di nessuna casa editrice e, ad oggi, non lavoro in esclusiva con nessuno.

C’è un genere in particolare di cui si occupa?

Solitamente mi occupo di narrativa, ma anche di fantasy e fantascienza, mentre non tratto mai gialli, saggistica, teatro e poesia.

Narrativa, fantasy e fantascienza. Perché proprio questi generi?

Perché seguono gli stessi criteri di coerenza, le storie che vengono create in tutti e tre i generi hanno bisogno di coerenza, devono stare in piedi anche quando si tratta di mondi fantastici.

Mi racconterebbe come avviene il suo processo di editing?

Quando arriva un testo lo leggo cercando di essere il più obiettiva possibile, anche se non sempre è facile, perché alcuni argomenti o epoche storiche possono non piacere e di conseguenza creare fastidio. Nel testo ricerco credibilità e coerenza: deve stare in piedi ed essere scorrevole. Durante questa prima lettura prendo degli appunti, che vado poi a ricontrollare e ipotizzo i miglioramenti che si potrebbero fare. In questa fase di sgrossatura tolgo la prima patina e ogni volta che faccio qualche correzione o cambio qualcosa, scrivo un commento all’autore, al quale lui può rispondere con le sue riflessioni. La prima parte del lavoro avviene su cartaceo, poi mi sposto a video usando le revisioni di Word. Finita la fase di macro-editing, si passa al micro-editing in cui mi concentro sullo stile, sul lessico e sulla grammatica.

Generalmente lei si occupa anche delle revisioni?

I refusi normalmente non sono competenza dell’editor. Alcuni autori mi chiedono di occuparmene, ma è molto difficile perché, dopo aver lavorato per mesi sul testo, il cervello non recepisce più il refuso. Per poter fare anche le revisioni chiedo alcune settimane di tempo, per non essere troppo influenzata dalle letture precedenti.

Il fatto di essere una editor, ma anche una scrittrice, influenza in qualche modo il suo approccio con gli autori?

Avere qualcuno che si occupa dei tuoi testi ti fa capire come si sentono le persone dei cui testi tu ti occupi. Penso che nel momento in cui si accetta un lavoro e la sfida che esso può rappresentare, sia necessario capire chi si ha di fronte e se non si ha la possibilità di dare fondo alle proprie conoscenze o non ci si riesce a rapportare con un cliente, sia meglio perderlo. Penso che tra editor e autore non debba mai esserci freddezza, perché l’editor maneggia gli aspetti più intimi della vita di uno scrittore e serve empatia per farlo.

Come definirebbe la figura dell’editor?

L’editor deve essere come il pediatra a cui si affidano i propri figli, bisogna dargli totale fiducia.

Ha presente quando qualcosa viene coperto dalla polvere e grattando la superficie si trova una tela meravigliosa? Questo fa l’editor, perché lui sa che sotto la polvere c’è quella tela meravigliosa. L’editor è il primo a dare fiducia all’autore e l’autore deve fidarsi a sua volta.

Passando alla sua scrittura, invece: è arrivata nella cinquina finalista del Premio di Letteratura Nazionale Neri Pozza. E poi? Come si è evoluto il percorso del suo romanzo, Lupi?

Dopo il Neri Pozza mi sono affidata a un editor con cui, seguendo un percorso di coaching, ho avuto modo di riflettere sugli aspetti del mio romanzo che potevano essere migliorati. Devo dire che questo modo di lavorare mi ha aiutata molto, credo, in effetti, che un editor debba fare proprio questo: capire chi è l’altro e spingerlo a rendere le proprie debolezze una forza per poterci lavorare meglio.

Per ora non posso dire molto perché i tempi editoriali sono piuttosto lunghi, ma tra qualche mese il romanzo sarà pubblicato da una storica casa editrice nazionale. Non svelo altro…

Può svelarci qualcosa sulla trama?

Lupi (anche se non possono ancora affermare con certezza che verrà mantenuto questo titolo) è la storia del soldato Neozelandese Dwight, deportato in Africa e poi in Carnia (in Friuli), dove sceglie di tornare vent’anni dopo la guerra e di una famiglia tutta al femminile.

Ancora un paio di domande, mentre ci avviamo a concludere. C’è un libro che la ispira o a cui è particolarmente legata?

Un libro che mi piace molto è sicuramente La lunga vita di Marianna Ucria di Dacia Maraini. Sono molto affezionata a questo libro, l’ho letto diverse volte e mi sono sempre commossa.

Un libro che consiglierebbe a un aspirante editor?

Un editor non dovrebbe leggere un solo libro, ma più libri. Uno… è difficile, mi giro verso il mio “scaffale dell’editor” e vedo diversi titoli che potrei consigliare. Io ho studiato letteratura americana, per cui sono molto legata a O’Connor e Carver. Potrei citarle Cattedrale e Il mestiere di scrivere di Carver, Un ragionevole uso dell’irragionevole di O’Connor,  Le città invisibili, Se una notte d’inverno un viaggiatore e Le lezioni americane di Calvino, On writing di Stephen King, Le vie del senso di Annamaria Testa, L’arco di trasformazione del personaggio di Dara Marks, Il viaggio dell’eroe di Christopher Vogler. Sono tutti libri che parlano di scrittura e la maggior parte sono scrittori che parlano di scrittura.

Serena Mauro