Viaggio nell’età straniera – Strada per lo Strega
«Perché leggiamo romanzi? Come antidoto alla solitudine esistenziale, per trovare, nelle pagine, noi stessi; per poterci riconoscere, trovare parole per la nostra ombra, per sentimenti così sottili da non avere nome, o una ferita segreta, diranno alcuni. Per vivere “vite che non sono la mia”, incontrare l’alterità totale, estendere l’empatia oltre i confini dei territori a noi familiari, diranno altri. Più spesso, tutt’e due le cose.»
Così Benedetta Tobagi presenta L’età straniera, ultimo romanzo di Marina Mander, al premio Strega di quest’anno.
Il libro, entrato nella dozzina finalista, è edito da Marsilio (2019) nella collana “Romanzi e Racconti”, che si occupa di narrativa contemporanea italiana e straniera, spaziando da autori come Beatrice Masini a Stieg Larsson.
Il volume, in brossura, si presenta con una copertina che è stata da subito molto apprezzata e amata dai lettori. L’illustrazione scelta, opera di Raphaëlle Martin, vira sui toni del blu e del bianco: il mare, una schiumosa linea d’orizzonte che sembra dividere la spiaggia dal cielo. Al centro, una figura di spalle, che scruta, si affaccia nell’abisso. Il mare in questa storia occupa un ruolo fondamentale, è dove la vicenda ha inizio e fine.
È proprio al mare, durante le vacanze estive, che il padre di Leo, uscito dalla casetta colorata sulla spiaggia entra in acqua, in pigiama, per non uscirne mai più.
È l’alba e Leo vede tutto. Il suo papà, barba lunga e selvaggia, un Robinson Crusoe che incurante va avanti, infradiciandosi gli orli, sfidando le onde, sparendo per sempre.
Qualche anno è trascorso, Leo è un diciassettenne brillante ma tormentato, vive ogni giorno il senso di colpa per questa morte che non riesce a capire fino in fondo, è in continuo contatto mentale con un tribunale immaginario che, attraverso un processo permanente, cerca di convincerlo di essere il vero responsabile: l’assassino, unico artefice. L’unica sua colpa è quella di essere caduto nel sonno, nell’esatto momento in cui l’irreparabile stava accadendo.
Un Morfeo sadico e malvagio, uno scherzo del destino, che non gli darà più pace per nessuna notte a venire.
Margherita, sua madre, non parla mai di ciò che è successo, si è disfatta di tutto ciò che apparteneva a suo marito e quel che rimane è chiuso in un cassetto, la chiave per giunta è andata persa. A questo si riduce il ricordo di suo padre, almeno all’apparenza, perché dentro di sé, Leo non ha mai smesso di chiedergli aiuto, di parlarci. La famiglia si allarga, in casa arriva Antonio, il tassista e ballerino di tango che cerca di sciogliere il nodo che avviluppa in tante spire madre e figlio, come un cappio; ma dorme lì, in quel letto, accanto a lei, esattamente dove dormiva suo padre. E a Leo non va giù. Il dolore della vita che inevitabilmente va avanti.
Leo legge, per sfuggire ai sensi di colpa affiorati dopo il suicidio del padre, per sperimentare ciò che nella realtà lo spaventa e lo fa sentire insicuro.
La lettura è l’unico rifugio in cui sparire.
E poi arriva Florin, diciassettenne anche lui, rumeno, ragazzo di strada che «di lavoro batte», abbandonato, ferito, violato. Improvvisamente i due si ritrovano nella stessa casa, nella medesima stanza e la storia assume le sembianze di un viaggio attraverso l’adolescenza e le storture del mondo, quest’Età straniera costellata di insicurezze, difficoltà relazionali, rabbia. Affrontare il salto nel mondo adulto significa posizionarsi, volenti o nolenti, in un sistema di valori in cui non ci si riconosce.
Gentile me stesso, spero tu sia così gentile da non ridermi addosso. Non buttarmi, per favore, nel cestino della carta straccia, perché io sono te, sono anche questo, anche se potresti avermi dimenticato. […] Sono qui a difendere un’idea del vivere che quelli della tua età sembrano aver dimenticato, come fossero già morti. Il mondo non mi aspetta, fallo tu.
Marina Mander, L’età straniera
Un lungo flusso di coscienza delinea i contorni di un confronto tra estraneità e appartenenza, un dialogo con lo straniero che vive dentro di noi.
I temi del suicidio, della malattia mentale, così come la violenza e la prostituzione sono trattati in modo brutale, crudo, cinico. Non ci sono moralismi o censure. Il tono, spesso dissacrante, assume però anche sfumature ironiche.
Senza dubbio la Mander, già su questa scia con La prima vera bugia e Nessundorma (finalista al premio Rapallo Carige) scrive un romanzo di formazione, quasi un uno young adult: curioso trovarlo nella dozzina. Fa parlare di sé, del ragazzino angosciato alle prese con il mondo adulto in cui non trova comprensione, sensibilità, spazio. E per questo, cerca di sparire, di passare inosservato.
E tu, Iwazaru, riesci a capire quanto mimetizzarsi sia vantaggioso?
Marina Mander, L’età straniera
Bastano cento parole di vocabolario, dieci capi di vestiario […] e tutti vedranno in te una personcina affidabile; confezionati bene anche se hai l’inferno dentro, impara un altro modo di spaccarti in due, ma senza mai darlo troppo a vedere, mi raccomando, è questo l’essenziale. E se dentro di te ci fosse davvero il nulla, rivestilo di diamanti.
La prosa è torrenziale, incalzante, cervellotica, frenetica. La scrittura non lineare procede a singhiozzo, con bruschi balzi indietro, e per questo difficile da seguire. La voce interiore di Leo, che parla, si forma, velocemente, attraverso un fiume di domande rivolte direttamente al lettore. L’allitterazione, come un filo invisibile, crea una struttura in cui i dialoghi sono quasi del tutto assenti.
Scrittura che è metafora di confusione, di lotta costante, interiore.
Come as you are, as you were
Nirvana, Come as you are
As I want you to be
As a friend, as a friend
As a known enemy
Così canta Kurt Cobain. Kurt che come lui a diciassette anni non aveva ancora fatto l’amore, Kurt che a ventisette saluta la vita, Kurt che you smell like me, Kurt che suona la colonna sonora della sua vita.
Il rapporto anomalo tra Leo e Florin, assume le note autentiche dell’unione agli antipodi, anime perse, che non hanno voce, riunite nella dimensione dell’estraneità. Gatti che a vicenda si leccano le ferite. Ferite che mai potranno rimarginarsi, ma di cui un giorno, si potrà far sfoggio: ricami, pennellate, il marchio dei sopravvissuti.
«Io con questo problema del non essere ancora abbastanza uomo, lui con questo problema del non essere nato abbastanza bambino».
Valeria Frigau
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