Recensioni

“La morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter più essere compresi”

di Sandra Bardotti

È il 2 marzo 2010 quando il senatore Marcello Dell’Utri annuncia in una conferenza stampa di presentazione della Mostra del Libro Antico di Milano di essere venuto in possesso di un dattiloscritto scomparso di Pasolini, che avrebbe dovuto costituire un intero capitolo di Petrolio.

Si tratterebbe del famoso Lampi sull’Eni, appunto 21, a cui Pasolini fa cenno nell’appunto successivo, rimandando il lettore a quel capitolo come se esso fosse già un testo compiuto: “Per quanto riguarda le imprese antifasciste, ineccepibili e rispettabili, malgrado il misto, della formazione partigiana guidata da Bonocore, ne ho già fatto cenno nel paragrafo intitolato ‘Lampi sull’Eni’, e ad esso rimando chi volesse rinfrescarsi la memoria”. Qui le parole di Pasolini sembrano indicare con certezza che quel capitolo era già stato scritto. La cura filologica di Graziella Chiarcossi e Aurelio Roncaglia, però, ignora questa affermazione pasoliniana, classificando l’episodio come se si trattasse di una delle molte lacune presenti nel brogliaccio di Petrolio. Lo stesso accade con Walter Siti e Silvia De Laude, che curano l’edizione Meridiani.
Fatto sta che giovedì 11, giorno dell’inaugurazione della Mostra del Libro Antico, queste pagine non ci sono. “La persona che me li ha promessi è scomparsa”, si giustifica Dell’Utri, che però afferma di avere avuto tra le mani quei fogli per qualche minuto, “sperando di poterli leggere con calma dopo”. Poi precisa anche che si tratta di “una settantina di veline dattiloscritte con qualche appunto a mano”, ma ciò che è inquietante è il fatto che il senatore sembra sapere il titolo esatto di quel capitolo, non Lampi sull’Eni, bensì “più esattamente Lampi su Eni”.
Per il resto, la mostra che rende omaggio a Pasolini a trentacinque anni dalla morte, Immagini corsare: ritratti e libri di Pier Paolo Pasolini, organizzata da Alessandro Noceti, raccoglie prime edizioni pasoliniane e fotografie originali del poeta sul set dei suoi film o per le strade di Roma in compagnia di attori e amici. Un allestimento tutto sommato mediocre, se non fosse per l’indubbio valore letterario delle prime edizioni friulane dell’Academiuta e dei due volumi introvabili su Cefis. Il primo di quest’ultimi è Chi è Cefis? L’altra faccia dell’onorato presidente, firmato con lo pseudonimo Giorgio Steimetz e pubblicato nel 1972 dall’Ami, fatto subito sparire dalla circolazione. Sappiamo che Pasolini possedeva una copia fotocopiata del pamphlet, dalla quale attinse le notizie sulla scalata di Cefis al vertice dell’Eni, quasi parafrasandole in Petrolio. L’altro volume è L’uragano Cefis di un certo Fabrizio De Masi, pubblicato sotto la sigla editoriale EGR e privo di data.
A quanto pare entrambi i testi sono stati forniti a Dell’Utri dalla stessa persona che aveva offerto il fantomatico capitolo di Petrolio.
Tutto l’evento si è risolto dunque in una bolla di sapone, che forse ha avuto il merito di risvegliare l’attenzione sulla possibilità di riaprire le indagini sulla morte di Pasolini. Ma una serie di domande nascono spontanee in chi conosce anche solo minimamente da una parte il ‘talento’ bibliofilo di Dell’Utri (e ricordiamoci che Dell’Utri è colui che alcuni anni fa aveva dichiarato di essere in possesso dei diari di Mussolini, smentito clamorosamente da alcuni studi filologici di Gentile e Travaglini), e dall’altra il progetto di Petrolio. Quale è stata la strategia pensata e messa in atto da Dell’Utri? Perché questo annuncio quando ancora non aveva la certezza di possedere il dattiloscritto? E se quest’ultimo fosse stato nelle sue mani, chi è la persona che glielo ha dato? Perché se il manoscritto esiste ed è scomparso dalla casa romana di Pasolini, esso deve essere in mano a una persona che può essere accusata di ricettazione, come del resto Dell’Utri stesso, se non denuncia il fatto all’autorità giudiziaria.
Appena qualche giorno dopo Veltroni porta il caso in Parlamento con un’interpellanza urgente al ministro Bondi: “Se questo capitolo esiste, come è arrivato nelle mani di Dell’Utri? Chi lo ha portato via da casa Pasolini, chi lo ha consegnato a mani diverse di quelle della famiglia o dei curatori dell’opera di Pasolini?”, si chiede giustamente Veltroni. Del resto, Petrolio implica non solo una discussione di carattere letterario, ma una riflessione su una parte ancora oscura della storia politica italiana legata alle stragi di stato, sulla quale sarebbe necessario fare finalmente luce. Le morti di De Mauro, Mattei e Pasolini potrebbero essere considerate omicidi eccellenti guidati dai vertici politici italiani implicati con gruppi neofascisti e servizi segreti, come si cerca di ricostruire in Profondo nero. Mattei, De Mauro, Pasolini. Che cosa sapevano? Perché dovevano morire? di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, edito da Chiarelettere.
Bondi risponde di aver già preso “contatti diretti” con Dell’Utri per cercare di fare chiarezza sulla questione e il caso sarà indagato dai carabinieri. Resta indubbio il fatto che Dell’Utri avrebbe dovuto rivolgersi subito alle autorità giudiziarie.
Anche la famiglia Pasolini si è divisa sull’accaduto. La parte della Chiarcossi nega fermamente che vi siano stati furti tra le carte del poeta dopo la morte, e con lei concorda il cugino Naldini. Invece un cugino materno, Guido Mazzon, aveva già dichiarato a Gianni D’Elia anni fa di aver ricevuto una telefonata da parte della Chiarcossi qualche giorno dopo la morte di Pasolini che accennava al fatto che alcuni ladri erano entrati in casa portandosi via gioielli e alcune carte del poeta. La confusione, dunque, regna anche in casa Pasolini, tra gli eredi e i parenti che forniscono diverse versioni dei fatti.
Petrolio è un caso editoriale fin dal 1992, quando esce per i Supercoralli Einaudi con copertina bianca e titolo in rosso, a diciassette anni dalla morte dell’autore.
“Ho iniziato un libro che mi impegnerà per anni, forse per il resto della mia vita. Non voglio parlarne, però; basti sapere che è una specie di ‹summa› di tutte le mie esperienze, di tutte le mie memorie”, così Pasolini annunciava il progetto di Petrolio in un’intervista rilasciata a Luisella Re, pubblicata da ‹‹Stampa Sera›› il 10 gennaio 1975. Già il 26 dicembre 1974, stavolta a ‹‹Il Mondo››, intervistato da Carlotta Tagliarini, aveva annunciato: “Nulla è quanto ho fatto da quando sono nato, in confronto all’opera gigantesca che sto portando avanti: un grosso Romanzo di 2000 pagine. Sono arrivato a pagina 600, e non le dico di più per non compromettermi”.
Quando Graziella Chiarcossi decise di aprire la cartella del manoscritto, dopo la morte di Pasolini, i fogli riempiti erano 522, poco più di un quarto di quello che era il progetto alla fine del 1974. “Mi ricordo, a proposito di Petrolio, che era molto fiero della consistenza dei fogli. Faceva vedere agli amici quanto aveva scritto, ma a nessuno lo aveva dato da leggere: era molto geloso. Quando nel ’74 mi diede il manoscritto da fotocopiare si raccomandò con un sorriso di scusa di fare la fotocopia senza leggere…”, dichiara la nipote dello scrittore nel 1992, all’uscita del romanzo, intervistata da Paolo Mauri per ‹‹La Repubblica››. Sembrerebbe dunque che vi siano dei fogli mancanti all’appello, se a fine 1974 Pasolini dichiara di essere a quota 600 pagine, tenendo conto anche del fatto che nel 1975 egli abbia portato avanti il suo progetto.“Ho fatto un po’ di calcoli. Visto che la decisione spettava a me e che Pier Paolo non mi aveva mai detto né brucialo né pubblicalo così com’ è, con un virgola lasciata a metà, ho deciso di farlo prima di diventare troppo vecchia e di non poterci più lavorare con tutti gli strumenti del caso”: così Graziella Chiarcossi giustifica la lunga attesa, a cui seguì la decisione di dare alle stampe il manoscritto. Una Nota filologica, curata da Aurelio Roncaglia, era più che mai necessaria, nel caso di un testo magmatico e incompiuto come Petrolio, e fu inserita come postfazione già nella prima edizione.
Nel 2006 esce una nuova edizione, a cura di S. De Laude, stavolta per gli Oscar Mondadori, con copertina tutta nera. Nero petrolio. Dal punto di vista filologico vi sono degli approfondimenti nello studio delle carte e delle fonti pasoliniane, ma la lacuna dell’appunto 21 rimane anche qui inesplicata.
Quello che vien fuori da questa faccenda è che una nuova edizione critica di Petrolio appare sempre più necessaria, a tanti anni di distanza dalla morte del suo autore. Lo stato frammentario, il magma costitutivo di questa opera, infatti, pone ancora oggi domande cruciali sullo stato della letteratura contemporanea. La struttura stessa di Petrolio, la sua riflessività totale, che mostra l’opera nel suo farsi, attraverso un principio compositivo che riflette continuamente su se stesso, è il punto su cui il dibattito tra gli studiosi è ancora aperto. Anche senza queste pagine di cui si sta parlando tanto in questi giorni, l’attualità di Petrolio è sconvolgente, all’interno dei canoni letterari di fine Novecento.
Senza dubbio, però, questa opera non voleva essere un semplice romanzo, né un semplice discorso sulla letteratura e le sue possibilità. Petrolio mette in scena un pezzo di storia italiana importante, ancora non del tutto chiara, letta con gli occhi di un autore che si è posto come voce civile dell’Italia. Vale la pena rileggere quelle parole che tanto scandalizzarono la scena culturale italiana nel 1974: “Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato ‘golpe’ (e che in realtà è una serie di ‘golpe’ istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del ‘vertice’ che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di ‘golpe’, sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli ‘ignoti’ autori materiali delle stragi più recenti. Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974). Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l’aiuto della Cia (e in second’ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il ’68, e in seguito, sempre con l’aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del ‘referendum’. Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli. Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero. Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio ‘progetto di romanzo’, sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il ’68 non è poi così difficile”.
Pasolini era un intellettuale scomodo a tanta parte politica del paese, perché non si limitava a mettere in luce dei problemi, ma aveva il coraggio di lanciare accuse precise. Qualunque cosa Pasolini sapesse dei giochi di potere e delle trame oscure della politica italiana, non avrebbe avuto paura a denunciarli, e Petrolio avrebbe dovuto contenere una esplicita ricostruzione della torbida scalata di Cefis al vertice dell’Eni. La sua coscienza etica e civile, programmaticamente dimenticata e ostacolata, è un manifesto di cultura che sarebbe fondamentale riscoprire oggi. Per questo motivo un appello alla riapertura delle indagini sulla sua morte dovrebbe provenire proprio da noi giovani, dalla nostra volontà di capire e di non mettere a tacere l’intelligenza intellettuale e la ricerca della verità.