Kasa dei Libri: non chiamatela biblioteca
Dai quattordici anni in poi, il mio libro preferito è stato L’ombra del vento.
Ogni volta che leggevo il romanzo di Zafon mi soffermavo instancabilmente sui particolari che usava per descrivere Il Cimitero dei Libri Dimenticati, ma non c’era verso: non riuscivo a immaginarmelo fino in fondo. Quindi, da allora, ne ho cercato una mia personale versione a portata di stivale. Come tutte le imprese adolescenziali, il mio proposito è stato caratterizzato da impegno febbrile e fallimenti su fallimenti. E, come tutte le imprese adolescenziali, l’ho risolta quando ormai non me ne importava più, perché l’adolescenza l’ho salutata da un po’, suonando al campanello del quarto piano di un edificio immerso nel quartiere Isola di Milano.
Non è stato un caso che io sia capitata nel posto di cui voglio raccontare: ne avevo sentito parlare durante le lezioni del Master in Professioni e prodotti dell’editoria di Pavia, direttamente dal proprietario, nonché professore, Andrea Kerbaker. Incuriosita, ho deciso di prendere appuntamento per visitarla e mi sono lasciata sorprendere dalla Kasa dei libri.
Non avevo idea di quello che mi sarei trovata davanti, ma entrando ho capito subito, senza esitazione, che quello era il mio personale “cimitero dei libri” che, come tutte le imprese adolescenziali, deve differire dall’ideale prepostosi: in questo luogo i volumi, circa trentamila, non sono dimenticati, ma curati e valorizzati. Andrea Kerbaker, da più o meno trent’anni, ha messo a disposizione di scuole e appassionati, in maniera totalmente gratuita, una collezione incredibile che può essere consultata, perché come ha affermato lui stesso: «I libri vanno interrogati, bisogna sfogliarli per capire cosa possono raccontarci».
Ripercorro il mio piccolo viaggio di quarantacinque minuti attraverso tre dettagli, tre come il numero dei piani che compongono la Kasa.
Piano 1
Ho camminato sulla locandina originale del Decameron di Pasolini.
Ecco il primo dettaglio che mi ha fatto rimanere senza parole: sul pavimento, locandine di film coperte di resina, sulle quali si può passeggiare. Il primo piano è anche quello dedicato alle mostre: quando l’ho visitata io, a metà marzo 2022, la Kasa ne ospitava una sulla rivista francese Derrière le mirorir costellata di contributi di artisti come Chagall o Mirò e, con mia sorpresa, anche Italo Calvino. Ho percorso le tre stanze del piano facendo davvero fatica a scegliere dove posare lo sguardo: ai lati le pagine colorate ed eleganti della rivista, sul pavimento classici cinematografici e sul soffitto fili da cui pendevano altri fogli della rivista e libri. Incoraggiata da quello che stavo vendendo, sono passata al piano successivo.
Piano 2
C’è una copia de Le petit prince accanto a una poltrona color porpora.
Tutti i trentamila volumi di Andrea Kerbaker possono essere presi dallo scaffale e sfogliati, mi viene spiegato da una delle collaboratrici, non importa quanti secoli abbiano. È su questo piano che si sviluppa la maggior parte della collezione, tutti volumi posseduti dal proprietario: alcuni di grande valore, altri comprati sulle bancarelle, altri ancora sono dei lasciti. La prima stanza ospita classici italiani, la seconda, invece, volumi in lingua inglese, francese, tedesca e spagnola, che Kerbaker legge. Dopo aver sfogliato un Catullo stampato da Tallone, tipografia ancora in attività e che usa caratteri mobili, ho salito le scale a chiocciola che conducono all’ultima parte della Kasa.
Piano 3
Due pagine da Cabiria, stampate e coperte di resina, sono la prima cosa che calpesto.
Come una ripresa del primo piano, questo raccoglie pagine di libri che ornano il pavimento. È il piano degli uffici e, infatti, mi imbatto nelle collaboratrici che si occupano della Kasa e mi permettono di girar loro intorno senza che ne siano infastidite: qui lavoro e cultura si fondono, convivono tra snack, macchinette del caffè, alcuni disegni, simpatici pupazzi e scrivanie stracolme. D’altronde, nella Kasa «nessuno è autorizzato a prendersi troppo sul serio».
Dopo quarantacinque minuti persa tra libri e curiosi oggetti, si è concluso il mio viaggio salutando la collaboratrice che mi ha accolto e chiudendomi dietro il portone della Kasa. Torno sulla strada, guardo il cielo e tolgo la mascherina. Sono leggera, ecco come mi sento. E prima di rimettermi sul viale penso che sì, la lettura è un momento personale, ma la cultura continua a esistere perché è e sarà sempre un’esperienza condivisa.
Silvia Rodinò