Maria Grazia Calandrone
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Maria Grazia Calandrone: memorie ricostruite

Ogni cosa che ho visto di te,

te la restituisco amata.

Con questo esergo si apre Dove non mi hai portata, il romanzo con cui Maria Grazia Calandrone (1964) torna nella dozzina del Premio Strega per l’edizione LXXVII. Pubblicato da Einaudi nella collana “Supercoralli”, viene così presentato dal poeta e saggista Franco Buffoni (ottobre 2022):

Propongo la candidatura del romanzo per due fondamentali motivi: la tenuta stilistica che non viene mai meno nelle 247 pagine del volume; la capacità dell’autrice di coinvolgere il lettore in una vicenda storica e umana al calor bianco. […] un ritratto nitido, al contempo profondamente partecipe, ferocemente oggettivo ed emblematico nella sua attualità.

Dalla pagina del sito del Premio Strega dedicata a Dove non mi hai portata.

La scelta di Buffoni si allinea a quella di altre proposte in gara che trattano dei rapporti familiari. È il caso di Mi limitavo ad amare te di Rossella Postorino (Feltrinelli), Una minima infelicità di Carmen Verde (Neri Pozza) e Come d’aria di Ada d’Adamo (Elliot). Nelle opere di Maria Grazia Calandrone, in particolare, il tema del rapporto madre-figlia viene esplorato sia in versi che in prosa.

Splendi come vita e l’ingresso nella dozzina del 2021

Splendi come vita, Maria Grazia Calandrone

Poetessa e scrittrice, drammaturga e artista visiva, ma anche autrice e conduttrice di programmi Rai, scrive per il “Il Corriere della Sera”, ed è impegnata nel sociale con laboratori di poesia in scuole e carceri. Splendi come vita (Ponte alle Grazie, 2021) è il romanzo/lettera in cui Maria Grazia Calandrone racconta la sua storia di amore e disamore con la madre adottiva Consolazione (Ione). Il romanzo – composto da intime pagine di diario, ricordi feroci e ferite aperte – permette alla scrittrice di entrare nella dozzina del Premio Strega 2021, ma soprattutto la porta a raccogliere testimonianze e informazioni su un episodio di abbandono – avvenuto nell’estate del 1965 – all’entrata del parco romano di Villa Borghese.

Unire i punti: Dove non mi hai portata

In Dove non mi hai portata, ricostruendo la storia delle vite dei genitori, Calandrone spezza la prosa con versi taglienti che, a partire dagli spazi grafici, si immergono nell’io di quella bambina di otto mesi, che scopriremo essere lei. La ricostruzione della verità parte dai luoghi in cui Lucia, sua madre biologica, nasce e vive, agognando un futuro migliore. L’autrice tesse una trama che, a partire dai dolori di un sud retrogrado, mostra il volto dell’Italia che negli anni cinquanta e sessanta è nel boom economico, ma è ancora madre degli articoli 559 e 560 del codice penale che condannano rispettivamente l’adulterio e il concubinato da parte della donna – dichiarati incostituzionali, in tutti i comma, solo con la sentenza n. 147 del 3 dicembre 1969. Cinquant’anni dopo, nel 2021, Calandrone si mette in macchina, con al fianco sua figlia Anna, e inizia un viaggio tra gli spazi vissuti da sua madre, obbligata ad accettare un matrimonio privo di amore e denso di solitudine e umiliazioni, condannata dal suo paese – e dalla legge – per aver amato un altro uomo e aver rifiutato la permanenza sotto il violento tetto coniugale.

Le parole di Calandrone si vestono dell’emarginazione che perseguita Lucia e Giuseppe, da Palata a Milano, dove l’inquietudine degli amanti non gli permette di reinventarsi una nuova vita nell’attesa del frutto del loro amore. Attraverso documenti anagrafici, lettere e pagine di cronaca, l’autrice ci consegna la tenerezza e il mistero delle ultime ore di vita dei suoi genitori, dall’abbandono al loro suicidio nelle acque del Tevere, dove Lucia non l’ha portata. Calandrone ci mette di fronte a indizi che, dapprima frammentari, si fanno ipotesi, smentite e racconto: la successione degli spostamenti, l’indagine sugli oggetti che Lucia e Giuseppe si lasciano dietro, lo studio delle modalità in cui un corpo può morire, la lettera spedita a “L’Unità” e pubblicata dal giornale nel 1965.

Il ritmo della narrazione viene scandito in momenti e pause precise, dove la scrittrice riflette e immagina, utilizzando il dialetto molisano per connotare la dimensione della voce sociale che ha oppresso la vita di Lucia, e i versi latini come preghiere, a rendere solenni i pensieri attraverso i quali impara a conoscerla e capirla. L’autrice indaga lo strato sotto la superficie, ribaltando il suo ruolo di figlia e divenendo madre compassionevole che nell’imperativo di trovare Lucia, la incontra e la rende poesia.

Alessia Bova