Recensioni

A Bordeaux c’è una grande piazza aperta, di Hanne Ørstavik

A Bordeaux c’è una grande piazza aperta,
di Hanne Ørtavik
Ponte alle grazie
16 euro

C’è un elemento predominante in questo libro. Forse la grande piazza aperta. Che si erge a presuntuosa protagonista ancora prima di iniziare a leggere. Ma che cos’è questa grande piazza aperta? Ne parla subito il titolo. Ne parlano le prime pagine. Ne parla il libro che aprendosi, si lascia toccare e sedurre dalla mano del lettore. Sì, esatto: sedurre. Perché aprendolo, e cominciando a leggere il lettore scopre che è un romanzo avido di sesso, che legge il desiderio dappertutto: nei corpi giovani delle ragazze, nei corpi stanchi degli uomini che non amano, nel corpo intelaiato di un dipinto. È un desiderio che si legge più nelle donne che negli uomini. Un desiderio che si espande e si affievolisce nella misura in cui si dà spazio all’altro, consentendo una propria apertura.

È questo senso di apertura che spiazza, e che si ripresenta costantemente, ritmicamente, in un tono trasognato che è la penna di Hanne Ørstavik, prolifica scrittrice norvegese che, dopo più di vent’anni di scrittura, vede per la prima volta un suo libro pubblicato in Italia. Si tratta del tredicesimo romanzo dell’autrice che, edito da Ponte alle Grazie e disponibile nelle librerie dal febbraio 2018, è stato benevolmente accolto come una voce nuova di una narrativa nordica ormai ampiamente apprezzata nel nostro paese.

Tuttavia, ed è lo stesso titolo a volerlo precisare, la maggior parte dell’ambientazione non è segnata dal territorio scandinavo. Lo spazio centrale è una cittadina francese: Bordeaux, in cui Ruth si reca per l’inaugurazione di una mostra che avrà luogo in un ex deposito coloniale, debitamente scelto per il suo grande spazio interno. Ruth è una donna norvegese, che si occupa d’arte, divorziata e con una figlia adolescente, e che da circa un anno è insieme con un uomo da cui vuole disperatamente credere di essere amata. Fin dal principio, però, s’intuisce che questo incontro fatica a realizzarsi in una storia felice:

Johannes dice che mi ama ma non vuole fare l’amore con me. Si può certamente capire. Ma il mio corpo non lo capisce. Si sente rifiutato. Indesiderato.”

Ruth deve arrivare a Bordeaux affinché la ferita cucita con menzogne, scuse e giustificazioni, esondi di parole e pensieri che faranno da collage a questo romanzo profondamente introspettivo, fatto di ricordi e dolori. Di speranze e di rifiuti. Di mattine nutrite di luce nuova e di notti spezzate da singhiozzi. Un fiume di pensieri che trova spazio nel momento in cui Ruth, dopo essere scesa dal taxi, si avvia verso l’hotel trascinando la sua valigia sulle pietre della piazza. Questo spazio enorme sembra a Ruth familiare; come l’accenno di un sogno già vissuto, come il realizzarsi di un desiderio eterno: l’incontro dell’altro. Dopo un matrimonio fallito miseramente, dopo una vita segnata dalla difesa della solitudine, Ruth per la prima volta vuole incontrare l’altro:

“Che non mi vuole, Johannes. È questo? È di questo che mi vergogno? Sì, è così. La prima volta che sono io, a volere qualcuno, a volere lui. Unicamente e chiaramente”.

In una relazione iniziata forse per sbaglio, Ruth fa memoria di quei rari momenti in cui Johannes si è mostrato a lei. Ricorda la loro prima cena assieme, seguita poi da una camminata silenziosa. Oppure la loro gita nelle montagne norvegesi.

Vieni con me in montagna domani, mi aveva chiesto, il giovedì pomeriggio […]. La montagna prima era cosa sua, una cosa che faceva da solo, ma piano piano aveva cominciato a includermi nei pensieri sulla montagna e infine l’aveva chiesto. Era la prima volta che mi chiedeva di fare qualcosa insieme”.

Eppure quando Ruth arriva nella hall del Grand Hotel di Bordeaux, lei è sola. Tende l’orecchio per captare il passo di Johannes. Ruth spera sempre che arriverà, prima o poi. Che prenderà un aereo, e la raggiungerà. Per stare con lei. Per far l’amore con lei. Per incontrarla. E volerla.

C’è però bisogno della presenza di un’altra donna perché Ruth, scavando nella sua anima, possa ammettere la dolorosa verità: lui non verrà. Si tratta di Abel, donna di origine argentina che dirige a Bordeaux una galleria d’arte di cui Ruth sta facendo visita. Poco prima che la visitatrice lasci la galleria, Abel la nota, e offrendole da bere, apre all’artista norvegese la possibilità di creare nuovi rapporti e di ampliare il suo sguardo sulla natura delle cose. Anche se Ruth non ha sete, non riesce a dire di no davanti ad una presenza così vigorosa.

Guardo i suoi seni, gli zigomi, tutto in lei è possente, extra, è grande. Penso a Johannes, se gli piacerebbe, ormai lo faccio con tutte le donne che incontro, mi chiedo se è una così che vorrebbe, come Abel davanti a me, una forte donna scura, quasi come un uomo. Non so perché lo penso. Non ne ho bisogno”.

Ne sboccia una nuova relazione in cui Abel accoglie i timori di Ruth e in cui Ruth si arricchisce del passato di Abel. Sembrano capirsi, anche senza aver discusso molto. Quando parlano dei progetti della mostra di Ruth, sembrano leggere una nell’anima dell’altra. In un discorso senza pausa né suoni Ruth si mostra nuda, nella sua primordiale paura.

Perché non dovrebbe venire. Abel mi guarda mentre lo dice, quando me lo chiede, mi rendo conto che non ci ho pensato.[…]

Perché se ne dimentica. Dimentica il giorno, l’orario dell’aereo, si perde, lui è come una piazza aperta”.

Si perde Johannes, ma si perde anche Ruth, che si lascia condurre da Abel in una Bordeaux notturna alla ricerca di nuove relazioni, di un piacere che sarà puntualmente deluso dalla superficialità di rapporti troppo fugaci.

E a questo punto mi perdo anch’io tra le linee di una trama sottile ed evanescente. Non riesco a dare un nome a questo spazio aperto. Avverto la frustrazione di Ruth, che si trasforma e si radica in me. La frustrazione di non potermi reggere ad una trama che, nel suo disperato tentativo di incontrare l’altro, prosegue senza svolte, confusa, coperta da una coltre di pensieri.

La sete di essere amati e di non scoprirsi soli, vero desiderio di tutti i personaggi che attraversano la piazza a Bordeaux, non è mai scoperta nella sua limpidezza. A lettura conclusa avverto un’acuta insoddisfazione che però, anche alla fine, ritorna alla ricerca di una parte buona, chiara, luminosa. Sento addosso l’insoddisfazione di aver attraversato uno spazio bianco decorato di parole senza aver veramente incontrato l’altro. Mi sento come Ruth, davanti a Johannes.
Attratta e allontanata da questa grande piazza aperta.

 

 

di Federica Ierrera