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Dall’omertà ai social, di Enzo Ciconte

Dall’omertà ai social. Come cambia la comunicazione della mafia
di Enzo Ciconte
Edizioni Santa Caterina
18 euro

Presentazione a Tempo di libri: venerdì 9 marzo, ore 14

Nel nostro recente passato si è spesso detto che “per capire le mafie bisogna saper ascoltare i silenzi”. Un’affermazione, questa, che racchiude in sé sia un’ammissione di colpa, anche da parte di chi aveva il dovere di arginare il fenomeno mafioso, sia una verità inossidabile; basti pensare come, nell’indifferenza totale, la ’ndrangheta sia riuscita a travalicare i propri confini regionali per imporsi in tutta l’Italia e in varie parti del mondo, o come, invece, si è stati in grado di poter combattere Cosa Nostra quando il suo silenzio si è infranto.

È ancora oggi così? Ancora oggi i mafiosi continuano a nutrirsi di quel silenzio che li ha aiutati a costruire la loro fortuna?

Sono domande a cui Enzo Ciconte, tra i massimi esperti del fenomeno mafioso, cerca di rispondere nel suo libro “Dall’omertà ai social. Come cambia la comunicazione della Mafia”, e lo fa attraverso una raccolta di articoli e saggi che, ricoprendo un arco temporale di circa un ventennio, ricostruiscono i mutamenti e i processi storici che hanno subìto le mafie italiane all’interno di un profondo cambiamento della società.

Una approfondita analisi storico-sociale che parte dai pregiudizi e dai luoghi comuni che tutt’oggi ruotano attorno alla mafia, come l’idea che vede «la criminalità organizzata come la responsabile del sottosviluppo delle regioni meridionali, come il freno principale all’economia di quei territori»; in realtà rappresenta un’opportunità per quei «ceti sociali che si sono sviluppati e sono diventati potenti economicamente grazie alle condizioni create dalle attività criminali. Freno dello sviluppo e dell’economia legale da una parte, opportunità a ceti e soggetti economici criminali: ecco le due facce della stessa medaglia con la quale le mafie si sono presentate al sud e al nord».

 Sì, perché il fenomeno mafioso non riguarda più solo il sud, ma già da tempo coinvolge tutta la penisola. Un fenomeno che si è spesso cercato di sottovalutare, perché nell’immaginario comune continua a persistere l’idea che la mafia sia qualcosa che appartiene solo alle regioni del meridione, quando i fatti, in realtà, delineano una situazione ben diversa:

«Sono mutate tante cose negli ultimi anni. I rampolli dell’ultima generazione sono diversi da quelli che li hanno preceduti nei decenni appena trascorsi. Molti sono nati al nord, sanno parlare e trattare affari con gli uomini della buona società e della finanza, con bancari e banchieri. Non sembrano appartenere al mondo dei loro padri e tanto meno dei loro nonni. Hanno rapporti solidi e stabili con professionisti, politici, imprenditori, con quelli che si posso definire “uomini-cerniera” per la loro capacità di creare relazioni tra mondo criminale e mondo legale […] tutti uomini del nord».

Ed è proprio a queste nuove generazioni che, secondo l’autore, dovremmo rivolgere l’attenzione. Generazioni di giovani uomini, ma anche di donne, che stanno cambiando profondamente il volto delle mafie, partendo dalla loro arma più potente: la comunicazione.

«Adesso gli uomini della mafia hanno scoperto Facebook, Whatsapp, i social network per comunicare. Perché lo fanno? Perché i pilasti culturali sui quali hanno costruito la loro fortuna non reggono più. E allora hanno bisogno di mandare i loro messaggi […] con modalità moderne, che le nuove generazioni sanno padroneggiare».

Contenuti antichi, che continuano a vivere attraverso mezzi moderni disponibili a tutti.

Enzo Ciconte parla di mafia, ma non solo; parla di una terra, la sua, una Calabria ancora oggi poco conosciuta e di un popolo vittima di un pregiudizio duro a morire. «Questo non significa che i calabresi siano tutti angeli senza colpa e senza macchia. Ma è giusto parlare di loro […] con cognizione di causa e con rispetto». Racconta storie di ’ndrangheta e lo fa perché sa che la mafia si combatte anche così, attraverso le parole, senza mai nascondersi dietro il silenzio.

di Annalaura Barreca