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La mia Ingeborg: storia di un’autodistruzione centrifuga

La mia Ingeborg è un romanzo sui generis: una storia d’amore carica della suspence propria del thriller. Uscita dalla penna di Tore Renberg (Stavanger, classe ’72), l’opera entra nel panorama editoriale norvegese nel 2020, per giungere in Italia lo scorso febbraio (Fazi Editore, collana “Le strade”, 2024). Si tratta di un romanzo forte nel suo essere scomodo: carico di paradossi, lascia al lettore l’onere di districarsi nel groviglio di sentimenti contrastanti che scatena costantemente. Racconta la storia di un uomo autodistruttivo che riesce a visualizzare sé stesso nel mondo soltanto attraverso una lente: sua moglie. Tollak è, per sé stesso come per i suoi compaesani, «Tollak di Ingeborg» (Tollak til Ingeborg, titolo originale del romanzo), compagna amata fuor di misura che, scomparendo, ha sottratto al marito la possibilità di vivere il presente. Condannato a un’esistenza di dolore, l’uomo dichiara:

 

«Appartengo al passato. Lungi da me l’idea di trovare il mio posto da qualsiasi altra parte».

 

La narrazione prepara sin da subito lettrici e lettori a quello che sarà l’evento cruciale del romanzo, situato nelle ultime pagine: la visita a casa, pretesa con urgenza da Tollak, da parte dei figli, la cui quotidianità si dispiega ormai lontano dal paesino norvegese in cui sono nati e cresciuti. Nell’attesa dell’arrivo di Hillevi e Jan Vidar, la vita coniugale di Tollak al fianco di Ingeborg si snocciola tra le pagine, carica di crude verità celate, la cui resa dei conti si avrà nell’unico vero – quanto doloroso – dialogo di un padre taciturno con due figli inaccessibili, fisicamente ed emotivamente. La storia, incentrata sul nucleo familiare di Tollak, avvolge un’ulteriore figura, quella di Oddo, della cui cura Tollak ha deciso di farsi carico, manifestando un’empatia atipica per il suo personaggio. Tale empatia è strettamente connessa alla comunanza del male che affligge lui e «Oddoloscemo», infelice epiteto affibbiato al ragazzo dai coetanei: entrambi sono incapaci di relazionarsi all’esterno mediante i codici comportamentali cui tutti ricorrono.

È un romanzo quanto mai contemporaneo nella narrazione della decadenza. Tollak (nome che significa “guerra”, “lotta”) è un uomo restio a quel progresso che vorrebbe dal maschio l’esplicitazione dei propri sentimenti, a sé stesso e agli altri. Nascondendosi dietro al mito del “si è sempre fatto così”, il protagonista si rende cieco a una verità che ha davanti agli occhi: rifuggire l’espressione di ciò che ha provato e che prova non farà altro che privarlo di ogni cosa, in un processo che non è una distruzione subìta, ma un’autodistruzione innescata – non del tutto inconsciamente.

La copertina, illustrazione di Alisher Kushakov, raffigura un abbraccio di colori caldi, che fa pregustare al lettore il racconto di un amore forte e riparatore. Ma è già dalle prime pagine che ci si trova a fare i conti con un uomo complesso, crudo persino nel modo in cui esprime l’amore e la sua perdita:

 

«Lei mi manca così tanto che mi sembra di sanguinare dietro gli occhi».

 

La scrittura di Renberg è sassosa e aspra, così come lo sono le immagini: la torbiera, luogo dove vita e morte si fondono ciclicamente, diventa la sede deputata ai momenti in cui il protagonista ha esigenza di riflettere. La narrazione in prima persona – molto vicina al monologo – rende il mondo intorno a Tollak un accidente, eccezion fatta per Ingeborg, la cui percezione è coerentemente radicata dentro di lui. Lo stile è asciutto, il linguaggio  ruvido, il ritmo incalzante. La traduzione è di Margherita Podestà Heir, traduttrice del Premio Nobel 2023 Jon Fosse. Podestà Heir, come riportato da Angelo Ferracuti nella “Lettura” (“Il Corriere della Sera”), ha entusiasticamente definito il romanzo di Renberg uno tra i migliori libri che abbia mai letto e tradotto.

La quarta di copertina presenta in rassegna i pareri positivi che il panorama editoriale internazionale ha espresso sul testo di Renberg: il romanzo si è infatti aggiudicato il Premio dei Librai norvegesi, il Premio dei blogger di libri norvegesi e il Premio Ordknappen. Ne risulta che la comparsa del titolo nel catalogo di Fazi Editore, che coincide con l’ingresso dell’autore nel panorama letterario italiano, sia una conquista per la collettività intera. A conferma di ciò, la candidatura del romanzo al Premio Strega Europeo 2024.

Il titolo italiano restituisce chiaramente il bipolarismo di un amore tanto forte quanto totalizzante. Il destino di Ingeborg è stato rinunciare a sé stessa, e Tollak ne è del tutto consapevole:

 

«Avrei potuto darle quello che desiderava così tanto – Un po’ più di vita intorno a me, Tollak – invece non l’ho fatto. Non riesco ad avere troppa gente intorno. Con il passare degli anni lo aveva capito poco alla volta e alla fine avevamo trovato il nostro modo quieto e silenzioso di vivere, il mio».

Laura Lanciotti