Bocchiola
Interviste

Traduzione, ovvero l’importanza di capirsi – Intervista a Massimo Bocchiola

Il traduttore non ha vita facile: deve adattare il testo originale alla lingua e cultura di ricezione, mantenendo, però, il messaggio che l’autore voleva comunicare ai suoi lettori, e questo deve scriverlo bene. Ci guida nel backstage di questo lavoro Massimo Bocchiola, noto traduttore di autori inglesi oltre che docente all’Università di Pavia e, ovviamente al nostro master.

di: Anna Balliana / Master Editoria 2020

Anna Balliana: Quali sono le principali sfide nella traduzione di un libro?

Massimo Bocchiola: Premesso che ovviamente dipende dal singolo libro (precisarlo è superfluo, ma devo), in linea generale quando si tratta di letteratura creativa direi il perseguimento della cosiddetta (DeMauro) adeguatezza semiotica, cioè la riproduzione del rapporto comunicativo in senso ampio (semantico, formale) che l’autore dell’originale ha creato con i suoi lettori; la riproduzione, insomma, del rapporto in una lingua e con lettori diversi.
Nel rendere la saggistica sarà essenziale l’esattezza dei concetti. Ma il confine è spessissimo labile.

A.B.: Perché un libro può aver bisogno di essere nuovamente tradotto?

M.B.: Si dice che le traduzioni invecchiano e l’originale no, resta immutabile; per Benjamin tradurre è un intento, un afflato verso l’eternità ecc. Una risposta pratica? Gli originali, quando non sono più agevolmente comprensibili, vengono corredati di note; le traduzioni vengono rifatte.

A.B.: Quali possono essere gli ostacoli in una revisione?

M.B.: Litigare con un traduttore che ne sa più di noi. O che ne sa di meno ma è di chiara fama. Battute a parte (ma non sono battute…), l’ostacolo più importante se la revisione deve essere profonda è ricomporre un testo coerente, non un patchwork che sconcerti il lettore.

A.B.: La traduzione è uno strumento fondamentale per la diffusione della cultura. Perché secondo lei, in Italia la figura del traduttore non è altrettanto valorizzata?

M.B.: No, invece è sempre più valorizzata, anche se è retribuita meno che in altri paesi. È il grande pubblico che ignora i traduttori, salvo accorgersi (magari sbagliando) che una versione è fatta male, o fatta bene. In questi ultimi decenni c’è sempre più attenzione a chi traduce.

A.B.: Condivide l’idea che il traduttore sia visto alla stregua dell’autore, visto il suo importante contributo all’opera e alla sua ricezione?

M.B.: Diciamo alla stregua di coautore, di collaboratore raramente decisivo ma spesso importante alla felice ricezione di un testo. Soprattutto se “scrive bene” nella lingua d’arrivo; eventuali errori materiali, o inesattezze filologiche, passano più facilmente inosservati di una forma sciatta. È così, c’è poco da dire.