Stefano Izzo
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Chi è l’editor? Intervista a Stefano Izzo

Stefano Izzo inizia la sua carriera come editor della narrativa italiana presso la casa editrice Rizzoli, dove resta per dodici anni, per poi passare nel 2017 a DeA Planeta, e di recente a Salani. 

Ha curato i testi di autori del calibro di Sebastiano Vassalli, Walter Siti, Edoardo Albinati e Alessandro Milan. Nel 2019 ha ricevuto il premio di miglior editor italiano.

di: Caterina Ceriani / Master Editoria 2020

Proviamo con questa intervista sui generis a raccontarvi chi è l’editor.

Caterina Ceriani: Sulla figura dell’editor circolano diverse leggende e per i non addetti ai lavori è una figura all’interno della casa editrice difficile da definire. Non è il correttore di bozze, né il ghost writer, né tantomeno il redattore. Allora chi è questa misteriosa figura che pochi conoscono? 

Stefano Izzo: Sembrerà strano ma rispondere a questa domanda in poche parole mi risulta estremamente difficile. L’editor fa molte cose e non esiste una definizione univoca, anche perché le case editrici sono organizzate in modo diverso, inoltre in una certa misura ogni editor interpreta il proprio mestiere a modo suo. Semplificando molto, direi che l’editor è la figura che opera la cruciale mediazione tra la casa editrice e gli autori, rappresentando le esigenze dell’una presso gli altri e viceversa – e anche, oserei dire, quelle dei lettori. In particolare l’editor: acquisisce nuovi libri, edita i testi, cura il publishing e assiste gli autori in ogni fase del lungo processo che porta dal manoscritto alla pubblicazione.

C.C.: L’editor è un cacciatore, buono però. Ha istinto e sesto senso. Va alla caccia di nuove storie e romanzi da pubblicare, li “annusa” e capisce subito se c’è qualcosa di davvero succulento. Quanto deve essere sviluppato il suo fiuto?

S.I.: Non sono così certo che l’editor capisca, e tantomeno che lo faccia subito. L’editor ha intuizioni, e insieme a queste ha timori, insicurezze, e la consapevolezza che per vincere una scommessa è inevitabile perderne delle altre. Che è un altro modo per dire che sbagliare è salutare, e che la fortuna gioca un ruolo piuttosto importante. Credo quindi che il fiuto si esprima più che altro nella capacità di farsi trovare nel posto giusto al momento giusto quando passa una buona occasione.

C.C.: È un cantastorie. Ogni giorno racconta ai colleghi della casa editrice quello che ha letto convincendoli che si tratta di una buona storia per far sì che venga avviata la macchina di lavorazione, pubblicazione, promozione e distribuzione del libro. Nell’arco di tutto il processo ha il compito di mantenere viva la motivazione e alto il trasporto, anche emotivo. Quanto è importante lo storytelling del lavoro che si sta facendo su un testo? Quanto è fondamentale credere in un buon progetto affinché ad esso vengano dedicate tutte le energie della casa editrice perché si realizzi un buon libro che riscontri anche un auspicato successo?

S.I.:  Nel momento in cui un editor sceglie un libro e decide di pubblicarlo, ovvero convince la casa editrice a investire le proprie risorse, si presume che debba esserne anche un ottimo sponsor. Uno dei suoi compiti è proprio questo: contagiare gli altri con il proprio entusiasmo e fare squadra. Ovviamente non si può farlo sempre per tutti i libri, o meglio, non sempre nello stesso modo e con la stessa intensità; ma non bisogna abbandonarne nessuno per strada. Se di un libro non si è convinti abbastanza da sostenerlo neppure coi propri colleghi, non ha senso perderci tempo, no? 

C.C.: È un amico. Vive del rapporto con gli autori che è basato sulla fiducia e l’empatia. Quanto può risultare difficile questa relazione e quanto però curarla e alimentarla può influire sulla riuscita e sulla qualità del romanzo? 

S.I.: La fiducia è fondamentale e deve essere reciproca: si lavora per lo stesso scopo, che è il bene del libro. Se è chiaro questo, la relazione ha una maggiore probabilità di essere semplice e portare buoni frutti anche sul piano professionale. Ma essendo una relazione è ovviamente condizionata dai rispettivi caratteri: si può diventare amici (a me è capitato alcune volte) o detestarsi cordialmente (un caso più raro). 

C.C.: È un artigiano. Modella il testo dell’autore per far sì che si formi una vera e propria opera. Deve capire la natura dello scrittore, la sua lingua e il suo ritmo. Allo stesso tempo dà indicazioni sulle parti da riscrivere, togliere o correggere. L’editing è un’operazione che non deve lasciare cicatrici, quindi qual è il limite d’intervento su un testo? Si potrebbe parlare di labor limae?

S.I.: Non c’è mai un limite riconoscibile. E a volte la lima non basta, servono il martello, le pinze, l’olio di gomito. (Altre volte, per contro, non occorre intervenire in alcun modo perché il testo è già pronto quando viene consegnato dallo scrittore). Max Perkins sosteneva che un editor non crea niente, non tira mai fuori qualcosa che l’autore non ha già in sé. Io la vedo nello stesso modo, il nostro lavoro consiste nel ridurre la distanza tra il libro che l’autore voleva scrivere e quello che ha effettivamente scritto. A volte si tratta di indicarglielo, perché non è detto che avesse capito del tutto il potenziale della storia che aveva in mano.

Scrivi per comunicare ai cuori e alle menti degli altri

ciò che brucia dentro di te, e poi editiamolo

per far sì che il fuoco si mostri attraverso il fumo

(Arthur Plotnik, The elements of editing)

Caterina Ceriani