E se fosse tutto vero? Gli inganni di Veronica Raimo
Scrivere di sé e dei propri ricordi, di qualcosa di vero, è difficile; Veronica Raimo, però, con i suoi passaggi tragicomici, lo fa sembrare non solo facile, ma necessario. Nel suo ultimo libro finalista al premio Strega 2022, Niente di vero (Einaudi, Milano 2022), ho ritrovato qualcosa di estremamente familiare e intimo, così tanto che ci è voluto un po’ per assimilarlo.
Veronica, Verica, Oca, Scarrafona, Veronika – sono le personalità che Raimo assume in questo libro, al punto che viene da chiedersi chi è che sta realmente raccontando. Scrive, infatti:
Le velleità di solito servono a ingannare se stessi, mentre io volevo ingannare gli altri.
Scrivere diventa un inganno o l’unico modo per farsi veramente vedere? E Veronica è sincera o simula una sé che non esiste? Eppure, ci affidiamo ciecamente a lei per lasciarci trasportare nella sua crescita, in una narrazione a metà fra il romanzo e l’autofiction (un’etichetta in cui l’autrice, però, non si riconosce). Dall’infanzia all’età adulta, dalle fughe dalla casa-alveare dei genitori a quelle berlinesi, Raimo ci porta avanti e indietro, manipola e tocca corde nascoste.
L’infanzia romana è scandita da una noia mortale. Mi ha fatto tornare in mente la mia, di noia, durante quegli appiccicosi pomeriggi estivi passati nella penombra delle tapparelle di casa, a cercare i punti più freschi del pavimento mentre aspettavo con mio fratello che il sole si abbassasse per poter andare a giocare. Mi sono ricordata le apprensioni di mia madre e di mia nonna che ancora oggi mi echeggiano nel cervello quando percepisco un pericolo. Sono riaffiorate le mie estati, le mie cicatrici, i miei sogni di ragazzina – quelli che poi si capisce essere sbagliati – le mie dinamiche familiari, sempre uguali.
Se anche riuscissimo a scappare ed eludere i nostri legami, ci sono cose che abbiamo introiettato e che rimarranno sempre con noi: ci basterà sentire una parola, una frase del nostro lessico familiare per sentirci di nuovo, inesorabilmente, bambini. Raimo ci svela le abitudini e le idiosincrasie della sua famiglia, che impariamo a conoscere pagina dopo pagina e che ci strappano un sorriso a ogni «Siamo arrivati al paradosso» o «C’è Francesca al telefono».
Molto di Niente di vero ha a che fare con l’essere figlia e con il dover sopportare di esserla nonostante l’imbarazzo di certi comportamenti degli adulti – che dalla nostra prospettiva di ragazzi in fase di ribellione sembrano indecifrabili –, ma soprattutto con la perdita e il dolore che ne derivano, che Raimo descrive con semplicità e sincerità.
Se in una prima parte la scrittrice sembra nascondersi dietro la sua ilarità a tratti dissacrante, con l’avanzare del suo monologo si libera da ogni difesa, esce dal suo nascondiglio fatto di battute taglienti e si mostra a noi in tutta la sua consapevolezza e vulnerabilità di figlia, di sorella, di donna, di persona. Si spoglia delle sovrastrutture e lascia l’essenziale – lei, con le sue parole.
Dopotutto, Veronica Raimo forse non riesce a ingannarci come vorrebbe: se non c’è Niente di vero, com’è possibile che ci suoni tutto così familiare?
Eleonora Pasquariello