Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio
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Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio | Recensione – Master Editoria

Tutti mi chiamavano Cocciamatte, anche se non ci ero matto totale per davvero.

Alla fine del 2019 minimum fax pubblica Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio, romanzo d’esordio dell’abruzzese Remo Rapino. Prima di allora l’autore aveva pubblicato solo raccolte di poesie e di racconti, ma il libro viene candidato al Premio Strega del 2020 e, nonostante non sia riuscito ad arrivare in finale, è tuttora in corsa per il Premio Campiello. Non male per il primo vero cimento letterario di un ex insegnante di filosofia.

Bonfiglio Liborio è un cocciamatte, lo scemo del villaggio di un paesino non meglio identificato del Meridione. Rimasto orfano già durante la prima adolescenza, il suo racconto in un italiano ‘raffazzonato’ ci accompagna in viaggio nell’Italia del Novecento. Dal fascismo alla Resistenza, passando per le fabbriche del nord e in manicomio prima dell’inevitabile ritorno al paese natio, l’epopea di questo individuo nato e vissuto ai margini della società restituisce uno spaccato acre e puntuale del ‘secolo breve’ italiano.

È proprio questo punto di vista per così dire ‘proletario’ che nobilita il romanzo. Maria Ida Gaeta, colei che ha sottoposto il libro all’attenzione della giuria dello Strega, giustifica la sua decisione in quanto «sta dalla parte dei matti, degli idioti, fuori dai margini, dove spesso sta la letteratura o comunque dove la letteratura sa stare».

La vera peculiarità dell’opera, tuttavia, risiede nello stile. Rapino ha costruito un linguaggio ibrido e vernacolare, ricco di espressioni dialettali e idiomatiche, mentre la narrazione sfiora quasi il flusso di coscienza. Caratteristiche, queste, che potrebbero scoraggiare il lettore più superficiale, ma che a giudicare dalle recensioni su Ibs e – ça va sans dire – della candidatura al più importante riconoscimento letterario italiano hanno saputo conquistare sia il pubblico che gli addetti ai lavori.

Valeria Celiberti
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