Monte Analogo
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Il Monte Analogo | Recensione – Master Editoria

Anche quella sera il sole tramontò senza schiuderci la porta di un altro mondo

Fra le uscite più interessanti del 2020 c’è una ripubblicazione di Adelphi di uno dei titoli che più hanno contribuito a definire l’identità della casa editrice, quando era ancora ai suoi albori: stiamo parlando del numero 19 della Biblioteca Adelphi, pubblicato per la prima volta nel lontano 1968: Il Monte Analogo di René Daumal (1908-1944).

Un vanto di Adelphi

Che Il Monte Analogo sia stato un libro fondamentale per il catalogo Adelphi, lo dimostra il fatto che nel libro di Roberto Calasso L’impronta dell’editore, nel capitolo dedicato alla storia della nascita della casa editrice, l’autore-editore dedica diversi paragrafi a questo romanzo e al suo autore. Il Monte Analogo è, per Calasso, un esempio perfetto di quello che lui definisce un “libro unico”, ossia quel genere di libri inclassificabili che la nuova casa editrice intendeva portare alla luce: «il Monte Analogo a cui Daumal dedicò il suo romanzo incompiuto (…) era l’asse, visibile e invisibile, verso cui la flottiglia dei libri unici orientava la sua flotta».

La trama de Il Monte Analogo

 Il Monte Analogo è l’ultimo libro di René Daumal, rimasto incompiuto per la morte improvvisa dell’autore.

La trama ha tutta la semplicità (e, aggiungerei, la felicità) di un romanzo d’avventura di Jules Verne. Nei toni, nelle atmosfere, ricorda invece la leggerezza inconfondibile dei film di Wes Anderson. Ridotta ai minimi termini, la si potrebbe riassumere così: alcuni alpinisti si convincono (attraverso una serie di deduzioni paradossali, che vanno a coinvolgere le più svariate discipline del sapere umano) che deve esistere da qualche parte sulla Terra un monte molto più alto dell’Everest, mai scoperto dai geografi. Si mettono in viaggio per tentare di raggiungerlo e scalarlo.

Tutto qui. Nulla di più semplice, di più bambinesco quasi. Eppure, la scorza superficiale che costituisce la storia del romanzo non fa che solcare, con leggerezza, i significati insondabili che si trovano sotto: la scalata del Monte Analogo è in effetti allegoria di un viaggio spirituale e metafisico dell’Uomo, la cui valenza simbolica rimane fino alla fine ineffabile. L’ultimo capitolo, il quinto, s’interrompe bruscamente a metà di una frase. Di quello che sarebbe dovuto essere il proseguimento del romanzo, non abbiamo che pochi appunti sparsi dell’autore, di fatto inintelligibili. Non è necessariamente un peccato, questo. Per quel che mi riguarda, il fatto che il romanzo sia rimasto incompiuto, e s’interrompa esattamente nel momento in cui i protagonisti iniziano la loro grande scalata, è una di quelle felici coincidenze che capitano ogni tanto nella letteratura, e che, pur trascendendo la volontà umana dell’autore, rendono una certa opera assolutamente perfetta.

La riedizione

Questa seconda edizione del Monte Analogo ha innanzitutto il valore di essere, a mio parere, esteticamente più bella dell’edizione del ’68: l’immagine, in bianco e nero, è lasciata nella parte bassa della copertina, dando al titolo più respiro. Oltre a questo ha il grande vantaggio di essere arricchita di una postfazione della moglie dell’autore Vèra Daumal, e soprattutto dagli appunti di Daumal stesso sul libro, fra cui una serie di personali riflessioni illuminanti sull’alpinismo. Ne citerò, a mo’ di chiusura, soltanto una, che per profondità e concisione potrebbe essere stata formulata da Lao Tzu: «Non si può restare sempre sulle vette, bisogna ridiscendere… a che pro, allora? Ecco: l’alto conosce il basso, il basso non conosce l’alto».

Enrico Ferratini
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