
Libro senza nome
Perché certi (bei) libri non vengono mai pubblicati? A sfatare questo mito ci pensa Utopia editore con Libro senza nome, di Shushan Avagyan.
Un libro sulla memoria, sulla potenza della letteratura. Un dialogo fittizio che restituisce la voce a due scrittrici armene di inizio Novecento, Shuskanik Kurghinian e Zabel Yesayan, dimenticate e annientate dal corso della storia. Un esperimento meta letterario che cerca nei frammenti il senso.
Quando l’obiettivo non è riscoprire una storia che non ha avuto luogo, ma una storia che è stata fatta sparire intenzionalmente.
Shushan Avagyan (nata nel 1976 a Erevan) è una delle voci più interessanti e originali dell’Armenia contemporanea. Amata sia dalla critica che dal pubblico, le sue opere sono in corso di pubblicazione nel catalogo di Utopia editore. Libro senza nome, edito per la prima volta nel 2006, era uscito in forma di samizdat, cioè fuori dai circuiti ufficiali e molte delle poesie raccolte trovano qui la loro prima stampa. La traduzione dall’armeno orientale di Minas Lourian, direttore del Centro Studi della cultura armena di Venezia, restituisce tutta la forza espressiva di questo libro libero da facili categorizzazioni.Esperimento meta letterario, saggio, prosa, poesia. Le definizioni si mischiano e confondono. Non rendetelo «comprensibile» ci chiede l’autrice. Non per sterile critica verso l’indolenza del lettore; ma per intercettare il suo interesse, per destarlo dall’ottundimento.
Libro tanto breve quanto denso, a cui mancano le pagine finali. O meglio l’opera è incompiuta. L’incompiutezza, lungi da essere difetto, qui diventa possibilità; la perdita di qualcosa aiuta a ritrovare altro. Dove per altro si intende la voce di donne, di scrittrici eliminate, soppresse dalla storia anche fisicamente. Parole altrui che diventano profondamente nostre: si parla di ideali vivi. Si ri-conoscono. Si ri-chiariscono. Si ri-rammentano. Il passato non torna mai, ma tornano le sensazioni.
Preparativi anche ad adottare una modalità di fruizione libera da dogmatismi pre costituiti. Il libro può essere letto in vari modi. Alcuni consentono di inghiottire rapidamente le parole, volando sopra le pagine. Altri di degustarlo con calma come si fa con del cioccolato pregiato, sentendo il sapore delle parole sedimentarsi lentamente. Se vi va potete seguire l’ordine tradizionale, dall’inizio alla fine o tornare indietro; partire dalle note a pie pagina (in fondo al libro nella versione italiana) o tenervele per ultime. Oppure utilizzarlo come un I Ching da consultare in ordine casuale alla ricerca di frasi da sottolineare, frasi da cartolina.
Non tutte le cartoline portano con se gioia. Soprattutto se sono cartoline condannate all’oblio. I versi di Shuskanik Kurghinian che avevano sfidato il potere zarista, furono successivamente ridotti in triviali slogan politici e poi dimenticati dopo la fine dell’Unione Sovietica.
Probabilmente se avesse saputo che i critici sovietici avrebbero strumentalizzato le sue poesie, le avrebbe bruciate lei stessa con un enorme rogo, dentro casa.
Le parole di Zabel Yesayan, narratrice poliglotta, traduttrice e insegnante a Istanbul invece non hanno fatto in tempo a essere lette, ad arrivare al grande pubblico; deportata e probabilmente uccisa durante le purghe di Stalin si perde presto fra le pieghe della storia.
Una era rivoluzionaria, l’altra controrivoluzionaria. Entrambe armene, entrambe femministe: Kurghinian e Yesayan nella realtà non si sono mai viste. Ma di cosa avrebbero parlato se si fossero incontrate nel 1926, in una giornata di primavera?
L’autrice, come l’angelo della Storia di Benjamin, scava negli archivi, raccoglie le parole, le salva, prova a ricomporre ciò che è stato frantumato, smozzicato, eliminato; ridotto al silenzio dall’ideologia socialista che annientava tutte le differenze, anche quelle di genere. Ne nasce un dialogo immaginario a quattro voci, che travalica anche il tempo: “Forse si sarebbero sedute proprio come noi in un caffè, a osservare i passanti e, mentre una avrebbe raccontato della propria vita da esule a Parigi, l’altra sarebbe ritornata con la mente a Rostov sul Don. La loro collisione avrebbe innescato una serie di scosse devastanti. Quell’energia avrebbe generato un mondo nuovo, o addirittura dei mondi nuovi. In uno di quei mondi, eccoci, Lara e io, sedute nel piccolo caffè, che parliamo senza tregua, con gli occhi colmi di lacrime. Lacrime roventi.”
Alla fine, le parole di questo libro non appartengono né alla dattilografa-scrittrice né a te, lettore. Parole bellissime, di tutti e di nessuno. E qui, lettore, le parole diventano superflue.
Maria Matias Contro
Nota: Questa recensione è a sua volta un esperimento metaletterario; tutte le frasi in corsivo son prese dal testo e utilizzate per raccontarlo.

