Recensioni

Money, soldi facili (o quasi)

Roberto è un uomo per bene, timido e introverso. Sposato con una donna che ama, ha una figlia adolescente che adora e la sua unica preoccupazione è il lavoro. Vive in provincia, in un mondo tranquillo, ma dominato dall’ossessione dei soldi. I soldi, infatti, danno titolo e veste a Money di Andrea Kerbaker, uscito a marzo 2021 per La nave di Teseo: in copertina, una banconota da cinquanta euro ai raggi X.

Di soldi Roberto ne ha pochi: fa il tappezziere, i clienti diminuiscono, e con loro anche i suoi guadagni, e così emerge il rimpianto di essersi fatto ingabbiare, molti anni prima, dal miraggio dell’artigianato. È anche quel rimorso, accompagnato dal desiderio di provare a svoltare, a spingerlo ad accettare un colpo che gli propone Vincenzo, un restauratore che conosce fin dai tempi delle scuole, spregiudicato e chiacchierato per «qualche integrazione al confine della legalità». Il piano è perfetto e, per lui, quasi senza rischi. O meglio, così sembra.

Kerbaker – bibliofilo e segretario del Premio Bagutta, del quale abbiamo parlato in un precedente articolo – racconta la storia in cui finisce impelagato un uomo profondamente onesto, che cede alla tentazione di fare soldi facili. È la storia di un uomo ordinario raccontata con uno stile garbato che fa della misura rapida e colloquiale il suo asse narrativo. Questo stile si avverte da subito: dal rumore che fanno le bottiglie e le tazzine di caffè nelle prime pagine, o da certi dialoghi familiari e misurati, o ancora dall’incedere garbato della paratassi.

A qualche tavolo hanno già finito: si sono alzati in fretta e furia, magari a seguito di una di quelle telefonate, conclusa con un Eccomi, parto subito, poi si sono dileguati dopo una rapida coda alla cassa per pagare.

Un imprevisto sconvolge però i piani del tranquillo Roberto e dà inizio al racconto psicologico: la provincia nebulosa acquista un sapore di “delitto e castigo”, o meglio, di “delitto e pena”, il senso di colpa che si fa malessere fisico ricorda la febbre cerebrale del paranoico Raskol’nikov. Le domande della moglie, i sospetti della figlia diventano, nella sua mente, trappole da cui guardarsi. La collettività getta la maschera bonaria che aveva per mostrare il suo potere censorio.

Kerbaker riesce a descrivere il meccanismo psicologico che si innesca quando le maglie della giustizia, stringendosi sempre di più, trasformano la paura di un uomo onesto in senso di colpa, in disgusto, in nausea. Solo il gesto finale, che sancisce come un rito di passaggio inverso il ritorno alla vita ordinaria, può aiutare a superarle.

Auri sacra fames! L’esecranda fame dell’oro! Auri sacra fames! Come suona diversa dall’ultima volta che l’ha ripetuta insieme a Vincenzo, ed entrambi hanno riso e riso. Adesso non fa ridere, proprio per niente.

 

Martina Bua