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Chiacchiere sui dieci anni di Sur | Intervista a Marco Cassini

Il giorno in cui ho girato l’ultima pagina di Ragazza, donna, altro di Bernardine Evaristo e ho pensato a quanto fosse prezioso ciò che avevo tra le mani, mi sono seduta alla scrivania e ho mandato una mail alla redazione di SUR. È stato un gesto istintivo. Il volume di Evaristo ha un valore letterario e sociale, che ben esemplifica le intenzioni di tutto il catalogo di questa casa editrice. È un libro ambizioso, corale e politico. Curato nei dettagli, ma anticonvenzionale nella scrittura. Come una delle protagoniste, queste cinquecento pagine riescono a vedere la realtà “a raggi X”, sezionandola e restituendo al lettore un quadro di un’attualità e una verità disarmante.

Volevo saperne di più su come questo valore viene costruito e sulle “ricette” vincenti di Edizioni SUR. Per questo, discutere con Marco Cassini, il direttore editoriale, di un progetto così potente, come è quello di questa casa editrice, ha significato toccare con mano quanto l’impegno e la passione possano tradursi in qualcosa di bello e importante.

Dunque, il giorno del nostro incontro su zoom, mi sono preparata (dalla vita in su), ho completato la carica del computer e mi sono seduta alla scrivania. È strano interagire con le persone tramite uno schermo: la sensazione è di lontananza, è vero, ma lo sfondo e il clima sembra quasi casereccio. È inevitabile sbirciare le scaffalature sullo sfondo o la vista dalla finestra. Quando poi ti trovi davanti a una persona così disponibile, per quanto così impegnata, la strada è sicuramente in discesa.

Quello che volevo fare era ripercorrere una linea temporale di questa impresa, partire dal passato, passare dal presente e guardare al futuro. Una cosa sistematica. Quello che ho fatto – in realtà era inevitabile – è stata una chiacchierata su alcuni aspetti di SUR, quelli che ho ritenuto essere i più caratterizzanti, gli ingredienti della ricetta sopracitata, affascinata dalla storia e dalla competenza di quest’uomo. Si fa quello che si può.

Marco Cassini fa l’editore dal 1994, quando fondò minimum fax, ma è nel 2011 che nasce SUR. A ottobre di quest’anno, quindi, compirà dieci anni. Soffiare su dieci candeline con un catalogo di questo livello è un traguardo prezioso, e farlo con uno stile del genere è qualcosa di invidiabile. Partecipare con la mia voce a una ricorrenza così speciale mi ha fatto sentire fortunata. Per questo, la prima e scontata domanda ha voluto fare riferimento alla genesi della casa editrice.

 

Quindi, come nasce SUR?

 

MC: nel 2010 lavoravo ancora in minimum fax e ci stavamo guardando intorno per allargare i nostri confini. Fino a quel momento pubblicavamo letteratura italiana e straniera, soprattutto angloamericana, ma era un momento in cui sentivamo stanchezza nella proposta letteraria che arrivava dagli Stati Uniti e stavamo immaginando di ampliare il nostro orizzonte. Un po’ irrazionalmente, con il semplice sentore che da quelle parti del mondo potesse arrivare qualcosa di interessante, e ragionando anche sul fatto che non sembrava esistere in Italia, in quel momento, un progetto complessivo sulla letteratura latino-americana, decisi di esplorare quel terreno. Era un progetto della casa editrice che seguivo personalmente, e per questo ho fatto un percorso conoscitivo partendo dall’ABC: un corso in lingua spagnola, approfondimenti sulla letteratura sudamericana, tantissimi viaggi. Ho iniziato a conoscere e frequentare diversi editori argentini, messicani, cileni e colombiani. Avevo deciso di affrontare la cosa con impegno, dato che avevo scontato il fatto che quando avevo iniziato a minimum fax non ne sapevo nulla e avevo dovuto improvvisare. Va bene l’avventuroso, ma avevo già quasi 20 anni di esperienza e non volevo ripetere troppi errori.

Dopo tutte queste ricerche, durate quasi due anni, e un bagaglio di esperienza che mi permetteva di orientarmi, avevo un panorama così ampio di possibilità che capimmo non essere sufficiente pensare a una sola collana. Per questo, l’idea di SUR venne ampliata e diventò un marchio editoriale a sé a latere di minimum fax.

Creare questo marchio nuovo mi aveva dato uno slancio in più, quella carica del dedicarsi a un progetto completamente nuovo, nonostante ancora molto piccolo: nel 2011 sono stati pubblicati solo tre titoli e nel 2012 sei. Aveva ancora le dimensioni di una collana, ma avevamo messo sotto contratto parecchi autori con progetti anche molto ampi: tra i primi Onetti e Cortàzar.

Ho continuato a seguire entrambi i progetti fino al 2014, quando c’è stata una separazione e mi sono dedicato esclusivamente a SUR, continuando a essere socio di minimum fax, senza lavorarci, fino al 2018. Nel 2014, quindi, era arrivato il momento di allargare il progetto di SUR: avevo passione, consapevolezza e una piccola competenza (altro che piccola! Ndr), e non avevo intenzione di fare concorrenza a minimum fax. Successivamente, nel 2015, due editor con cui avevo lavorato in casa editrice, mi hanno proposto di portare avanti quel lavoro sulla letteratura nordamericana che per tanti anni avevamo fatto insieme. Da questo, nasce la nostra seconda collana, big SUR, curata da Dario Matrone e Martina Testa.

 

Nonostante le diverse collane, nel panorama editoriale le pubblicazioni di SUR hanno sempre un marcato “carattere SUR”: sono sempre coerenti con l’identità della casa editrice. A questo riguardo, ritengo che esistano dei libri, all’ interno dei cataloghi, che stabiliscono più di altri quale sia la linea editoriale. Libri che possono essere considerati superfood, come le bacche di goji, volumi che fanno benissimo all’ organismo della casa editrice e che fanno non solo crescere, ma crescere in salute. Quali sono quindi le caratteristiche che permettono di definire la vostra identità e che ricercate nei vostri autori? E quali sono le vostre bacche di goji?

 

MC: per riprendere la metafora di Calasso, per cui il catalogo della casa editrice è un grande libro di cui ogni volume pubblicato è una pagina, e così come l’ambizione di ogni autore è essere riconoscibile dal lettore leggendo solo poche righe, anche a noi piacerebbe che ciascun libro del nostro catalogo fosse rappresentativo del nostro progetto editoriale nella sua interezza.

Ci sono due interi mondi linguistici a cui guardiamo, ma, paradossalmente, non è così facile scegliere i libri da pubblicare. C’è tanto tra cui scegliere e noi siamo molto esigenti, vogliamo che ogni libro ci rappresenti. Non solo secondo un criterio geografico e culturale, ma anche attraverso altri filtri: per esempio, escludiamo quasi sempre i libri di genere (nonostante alcune eccezioni, tra cui Rosemary’s Baby di Ira Levin, che però risponde all’esigenza di un alto valore letterario, o La ferrovia sotterranea di Colson Whitehead, considerato da alcuni quasi realismo magico).

Nonostante i filtri, resta comunque molto e la scelta viene presa collegialmente. Questo non significa che tutti gli editor approvino ogni scelta. È bello che all’interno del gruppo ognuno mantenga il gusto proprio, oltre al gusto della casa editrice, che nel nostro caso deriva da una sintesi dialogica di posizioni diverse.

Non è detto che quando si fa una scelta anche così filtrata il lettore che trova il libro sul bancone riesca a percepire a ritroso tutto il percorso fatto per deciderne la pubblicazione: ci sono libri che ci rappresentano forse più di altri per il loro gusto e che non sempre coincidono con il maggior numero di vendite. È ovvio però che il sogno di ogni editore è che il libro che più ti rappresenta sia anche quello che vende di più. La ferrovia sotterranea o Ragazza, donna, altro sono titoli a cui teniamo particolarmente, carichi di tutto quel di più extra letterario, etico, di visione sociale e politica che ci sta a cuore, e quando questi elementi incontrano anche il favore del pubblico è il coronamento di quel sogno: un libro che ti rappresenta, in cui metti tutto te stesso, e che è anche successo commerciale. Dire che il libro commerciale è quello qualitativamente meno riuscito è falso in certi casi, la storia dell’editoria è piena di grandi capolavori riconosciuti come tali da una grande fetta di pubblico.

Ci piace forse ancora di più quando questo succede con autori esordienti: qualche anno fa abbiamo pubblicato il primo e (per ora) unico libro di Laia Jufresa, Umami, che ha venduto circa 5000 copie. Un grande traguardo per un’esordiente messicana, per altro con un nome difficile da pronunciare e un titolo che alcuni hanno preso come un refuso per “umani”. Si è riuscito a fare accogliere un nome del tutto sconosciuto ed è stata una grande soddisfazione.

 

A questo punto gli racconto della mia esperienza con Esercizi di fiducia, scritto da Susan Choi. Un libro di un’autrice inspiegabilmente non pubblicata prima in Italia, che sviscera il rapporto tra rappresentazione e realtà. Tra i ruoli che ognuno vuole attribuirsi e la verità di quello che si è. Tra i rapporti tossici in cui ognuno gioca come un attore e quelli autentici, i più difficili. Cito questo libro perché, prima di leggerlo, mi sembrava un volume lontano dalle intenzioni di SUR. Una volta terminato, però, il gusto della casa editrice si sente. Quella sintesi dialogica che inizialmente non credevo di poter percepire emerge in modo evidente. Alla fine, è tutto coerente.

E la coerenza di SUR si nota non solo nelle pubblicazioni, ma anche nel paratesto. Rispetto però alle prime edizioni di SUR, minimali, in copertina rigida e coloratissime, a un certo punto c’è stata un’inversione di rotta. Come si è arrivati alla veste grafica di adesso?

 

MC: Il progetto grafico iniziale nasce in un momento dell’editoria italiana successivo alla scorpacciata di autori latino-americani avvenuta tra gli anni ’60 e ’80. Erano gli anni, questi, di una quasi eccessiva traduzione di tutto ciò che veniva da quella parte del mondo, anche sull’onda dei successi di García Màrquez. In maniera forse simile a come abbiamo visto nascere e affievolirsi il fenomeno del giallo svedese recentemente: nel momento del picco tutti pubblicano tutto purché rientri (o possa rientrare, a volte con un po’ di forzatura) in quella categoria, creando sovrapposizione. Con il passare del tempo alcune cose importanti restano, e molto di quello che era solo moda senza un gran valore non resiste. Nel caso della letteratura latino-americana, però, erano scomparsi anche libri e autori importanti, trascurati e dimenticati. Di Cortàzar in Italia erano rimaste poche opere. Di Onetti, nemmeno una.

La grafica dei primi titoli era un progetto preciso: si trattava innanzi tutto di un omaggio alla grafica editoriale con cui alcuni di questi grandi autori classici latinoamericani erano stati conosciuti in Italia: per esempio la grafica con cui Bompiani pubblicò I sette pazzi di Roberto Arlt o quella dell’Onetti di Feltrinelli.

Aveva sì i pregi di visibilità e riconoscibilità immediata, ma con il tempo ha dimostrato un paio di problematiche. La prima ha a che fare con un aspetto cartotecnico e commerciale: una fetta di lettori non si avvicinava al progetto perché non gradiva la copertina rigida, giudicata scomoda e poco pratica. L’altro aspetto, invece, è legato al tipo di proposta: l’idea era quella di indicare in grande il nome dell’autore, accompagnato da un disegno stilizzato che racchiudesse il significato del libro. Questo è più facile da fare quando devi pubblicare un libro di un autore già canonizzato. Con Onetti o Cortàzar basta dire il nome dell’autore perché la gente si avvicini come a qualcosa che è già un classico, senza il bisogno di fascette o immagini di copertina accattivanti. Viceversa, si rischiava di penalizzare alcuni autori contemporanei, che in questo modo non avevano la possibilità di parlare ai lettori tramite una grafica più accessibile. Quindi, quando si è ampliata la ricerca sugli autori contemporanei, si è avvertita anche l’esigenza di cambiare la grafica.

Questo è legato al discorso precedente: è importante non solo che ogni libro sia rappresentativo del progetto editoriale, ma che anche ogni elemento del libro sia rappresentativo, compresa la grafica. Fare una copertina ammiccante e ipercommerciale, con strilli a tutta pagina, per un classico come Onetti non c’entrerebbe molto. Tanto quanto una grafica compassata e difficile da penetrare per un libro che potrebbe avere una circolazione maggiore risulterebbe fuori luogo.

 

Una domanda più frivola: nel vostro catalogo sono già presenti grandi autori, tra gli altri, i già citati Cortàzar e Onetti, a cui quest’anno verrà dedicata una collana esclusiva, arricchita dalle prefazioni di grandi scrittori italiani. Ma se potesse scegliere un qualsiasi autore da inserire nel vostro catalogo chi sarebbe?

 

MC: ce ne sono tanti! Ci è capitato parecchie volte di perdere un autore. Colson Whitehead è un autore particolare perché è andato perso due volte: lo abbiamo pubblicato in minimum fax all’inizio degli anni Novanta, poi è andato a Einaudi, siamo riusciti a riprenderlo a SUR e ci era piaciuta l’idea di averlo riconquistato, ma ora è andato a Mondadori.

Per l’anniversario quest’anno pubblicheremo invece un grande classico di Eduardo Galeano, fondamentale per gli aspetti geopolitici della storia latino-americana, Le vene aperte dell’America latina, che ripubblichiamo nel cinquantesimo anniversario dalla sua prima pubblicazione e che era nel catalogo di Sperling e Kupfer.

Un rimpianto è non essere riuscito a pubblicare è Juan Rulfo, stabilmente nel catalogo Einaudi (fortunati!), un grande autore messicano che a me sta molto simpatico perché in tutta la sua carriera ha scritto pochissimo, ma ogni pagina è densa e meditata.

Una cosa simile è successa con il nostro autore brasiliano Raduan Nassar, tutt’ora vivente, ultraottuagenario che ha pubblicato due libri e negli anni Ottanta è andato a vivere in campagna e ha smesso di scrivere.

Per restare nell’attualità, se avessi saputo che in minimum fax non era stato rinnovato il contratto con Walter Tevis, autore de La regina degli scacchi, ora in Mondadori, avrei cercato di prenderlo io: è un autore a cui tenevo molto; e questo era il suo unico titolo, tra quelli che ho avuto la fortuna di pubblicare, che non era ancora stato adattato in una trasposizione filmica.

 

E di che colore avrebbe fatto La regina degli scacchi?

 

MC: non ho ancora guardato la serie, non so se potrebbe risultare un colore dominante che mi possa ispirare per un’eventuale copertina. Mondadori ha usato l’immagine della locandina, e probabilmente avremmo fatto la stessa cosa. L’edizione di minimum fax aveva un giallo di fondo a cui forse sarei rimasto affezionato, oppure avrei fatto una cosa opposta per non confonderci. Si potrebbe anche giocare con il tema della scacchiera.

 

Forse proprio il mestiere dell’editore è come una partita a scacchi: si sceglie quali pezzi muovere, come muoverli. Si applica una strategia, che è utile rimanga coerente per tutta la partita. Si preferiscono alcune mosse rispetto ad altre, alcune più prudenti, alcune più azzardate, alcune sorprendenti. Si gioca con un proprio stile.

Spegniamo la telecamera e sono contenta che qualcuno mi abbia fatto vedere come muove i propri pezzi.

 

Cristina Gimini