News,  Recensioni

Il nuovo presagio di Don DeLillo: Il Silenzio | Recensione

Don DeLillo si presta, con la sua ultima pubblicazione Il Silenzio, a un tema inquietantemente attuale: un’epidemia. Certo, non si parla di virus biologico, di quello ne sappiamo fin troppo. Il motore di questo volume è un virus digitale, che si insinua nel mondo tecnologizzato degli Stati Uniti del 2022, causando un blackout di dimensioni inimmaginabili.

In altri tempi, più o meno ordinari, c’era sempre qualcuno con lo sguardo perso nel proprio cellulare, di mattina, a mezzogiorno, di sera, in mezzo al marciapiede, incurante degli altri che gli passavano velocemente accanto, completamente immerso, ipnotizzato, consumato dall’apparecchio […]; e adesso questi tossicodipendenti digitali non possono fare niente, i cellulari sono fuori uso.

 

La proposta italiana

Il volume italiano, nella proposta di Einaudi, viene pubblicato a inizio febbraio per la collana “Supercoralli”, ma in una maniera diversa dalla tradizione dell’editoria einaudiana, ricalcando la grafica dell’edizione statunitense. Ci troviamo quindi in mano un libricino di dimensioni ridotte e dalla copertina totalmente nera, a eccezione del titolo e del nome dell’autore che, come nell’originale The Silence, giocano figurativamente riempiendo, per quanto piccoli, tutto lo spazio. Sono separati solamente, ma nettamente, dal profilo di un telefono. 

Un volume, insomma, che ci mette già davanti al suo contenuto: le dimensioni ci ricordano gli smartphone che teniamo abitualmente in mano; il colore prevalente, il nero, riproduce il blackout degli schermi raccontati; la composizione della copertina, così nettamente divisa, ci sottolinea già quanto sarebbe netta la divisione tra il prima e il dopo un possibile collasso tecnologico. 

Edizione italiana della collana Supercoralli di Einaudi
Edizione italiana
Confronto tra l'edizione italiana della collana Supercoralli di Einaudi e quella originale statunitense
Edizione originale

Il mondo delilliano

Seguendo la tendenza che ha portato l’autore dal massimalismo di Underworld al minimalismo degli ultimi lavori, Il Silenzio presenta poco più di 100 pagine. Impaginate quasi come un canovaccio teatrale, rapide da leggere e dritte al punto, presentano una moltitudine di spazi via via più bianchi, che pongono il lettore davanti al proprio e personalissimo silenzio. In attesa che qualcuno dei personaggi possa dire qualcosa che scagioni anche noi dalla dipendenza dagli strumenti tramite i quali interagiamo e lavoriamo perennemente. «Viviamo, disperati e felici, in un mondo delilliano», è riportato in quarta di copertina: io, oggi, scrivo dal mio Mac; voi, probabilmente, leggete dal vostro smartphone.

Il Silenzio è ambientato in un futuro più prossimo che mai, ormai quasi presente. Un tempo che diventa il protagonista delle atmosfere di paranoia che ben conosciamo da Rumore Bianco e che hanno consacrato DeLillo come un autore in grado di restituire al lettore un’immagine del mondo che, priva di psicologismi e inutili voli pindarici, colpisce recando con sé una forza che risiede in prima battuta nella sua sincerità. Il giudizio che chiunque possa dare riguardo a questo libro, o in generale riguardo ai romanzi dell’autore, non può essere un giudizio di semplice gradimento. È come se l’esperienza di lettura strabordasse dal libro in sé per catturarci con un’ombra di inquietudine, anche una volta chiuso il volume.

 

La trama

Si inizia su un aereo: una coppia sta per raggiungere il proprio gruppo di amici, ragazzi medio borghesi che si incontrano per guardare la finale del Super Bowl. Niente di più quotidiano. Ma, paradossalmente, niente di più difficile da attuare se colpiti da “un’apocalisse della rete”, per citare lo scrittore.

Le comunicazioni con gli aerei si interrompono, i telefoni sono fuori uso, le metropolitane automatizzate non sanno più fin dove proseguire. Gli ospedali sono saturi. Le strade inizialmente deserte. Tutti gli schermi sono neri e ciò che regna, in modo prepotente, è il silenzio, introdotto a piccole dosi nel corso del racconto. Un silenzio prodotto dall’incapacità di comunicare davanti all’assenza di immagine e al mutismo degli smartphone, delle televisioni e dei PC. Prodotto però anche dalla schiavitù e dall’impossibilità di reagire a questo drastico e repentino cambiamento. Un silenzio che non è quindi solo una trasformazione, ma una vera e propria cessazione del ritmo precedente. Un silenzio che mette i personaggi faccia a faccia con quanto la rivoluzione digitale si sia presa di loro stessi, della loro memoria e del loro modo di stare con l’altro.

Questa cosa le dava un senso di soddisfazione. Venuto fuori dal nulla. Non viene più quasi niente fuori dal nulla. Quando un elemento mancante viene a galla senza l’ausilio di alcun supporto digitale, ognuno lo annuncia all’altro con lo sguardo perso in lontananza, l’aldilà di ciò che si sapeva un tempo e che è andato smarrito. 

 

DeLillo in italiano: la traduzione di Federica Aceto

Senza scendere in descrizioni emotive, DeLillo riesce a trattare un tema inflazionato come la dipendenza dal digitale apportando un contributo che, nel mare degli autori che hanno voluto approfondire l’argomento, si fa notare. Protagoniste, qui, sono le reazioni sconclusionate dei personaggi, o meglio: il loro essere inetti, l’aria di enorme disagio che traspare e l’atmosfera di paranoia. Le cause di questo collasso non sono rilevanti: è l’effetto sulla natura umana che interessa. La prosa è asciutta, non verbosa: i sentimenti emergono proprio come nella vita quotidiana. È un classico esempio di show, don’t tell, che evidenzia una padronanza del mezzo invidiabile. 

DeLillo, infatti, al contrario della tossicodipendenza tecnologica protagonista di questo volume, è solito utilizzare una vecchia Olympia di seconda mano del 1975. I caratteri grandi della sua macchina da scrivere, dice, gli sono utili a comprendere, prima ancora di digitarle, le connessioni e le presenze visive di cui si compone la sua scrittura. Questa attenzione all’estetica e alla ritmicità delle parole conferisce alla prosa una particolare visività. Don DeLillo è un autore che lavora per immagini e atmosfere, e Il Silenzio non è da meno. Come ha detto l’autore al New York Times: «La tecnologia ha cambiato il modo in cui pensiamo […] È meno riflessivo e più istantaneo». Di conseguenza, anche un volume del genere lo deve essere.

È un’estetica complessa, che la traduttrice italiana, Federica Aceto, è riuscita a riproporre anche in un volume così breve e conciso. Non a caso, la traduttrice dimostra, sbriciando il suo profilo Twitter, di avere compreso il fatto che la prosa di DeLillo, nonostante l’asciuttezza che la contraddistingue a una prima occhiata, è ricca di quel sentimento che rende la sua analisi della tecnologia, benché così “istantanea”, davvero potente, proprio in quanto esaustiva. Più di quello che è raccontato ne Il Silenzio, è inutile scriverlo.

 

Cristina Gimini