La figlia giusta al posto sbagliato
di Enea Brigatti
Raffaella Romagnolo
La figlia sbagliata
Frassinelli, 2015
p. 170, 15 €
Pietro Polizzi ha settant’anni, un passato da camionista e un presente da pensionato. Ogni sera, terminata la cena, rimane seduto al tavolo della cucina per risolvere qualche cruciverba. Una routine interrotta una sera qualunque di un giorno qualunque da un infarto che nel giro di pochi secondi se lo porta via, il cuore che scoppia e il corpo che rimane rigido sulla sedia, le braccia sul tavolo e la Settimana Enigmistica fra le mani.
Alle sue spalle Ines Banchero, sua moglie e madre dei suoi figli, non si accorge di nulla.
Non può vedere Pietro perché china sulle stoviglie da lavare, ne può sentire i suoi sussulti a causa del volume troppo alto della televisione.
Neppure si chiede per quale motivo il marito sia così taciturno, perché dopo quarantatré anni di matrimonio Pietro e Ines hanno trovato nel silenzio il proprio modo di (non) comunicare.
Finite le faccende domestiche, distolta l’attenzione da un brutto programma televisivo che però tanto le piace, Ines si accorge che c’è qualcosa di inequivocabile nell’immobilità del marito.
Riconosce in quel silenzio una nota diversa dal solito: non è apatia, non è disinteresse.
Pietro è morto e l’unica cosa che Ines riesce a fare è sciogliere venti gocce di sonnifero in un bicchiere d’acqua e andare a coricarsi.
Questo non è ancora il momento di guardare in faccia la realtà, meglio rimandare a domani.
O a dopodomani, o a dopodomani ancora.
E così via.
La figlia sbagliata (Frassinelli, 170 pagine, 15 euro) quarto romanzo di Raffaella Romagnolo dopo L’amante di città. Mistero in Monferrato (Fratelli Frilli) La masnà e Tutta questa vita (entrambi per Piemme), parte dalla narrazione di una morte improvvisa e dolorosa per raccontare la storia di una famiglia apparentemente normale, quella composta da Pietro, Ines, e dai figli Vittorio e Riccarda.
Il padre lavoratore infaticabile, la madre presente e premurosa, il primogenito ubbidiente e ben educato, la secondogenita estroversa e un po’ ribelle: dietro questa immagine rassicurante da pubblicità di qualche rotocalco anni sessanta si cela però un abisso di dolore, incomunicabilità, speranze e aspettative tradite.
Un contrasto evocato sin dall’immagine di copertina a cura della coppia di grafici Ale+Ale, che ricorda la pittura spinosa di Gabriele Arruzzo, dove un’illustrazione da sussidiario scolastico si tinge di un giallo fosforescente da disastro nucleare, come fosse un segnale di allarme nei confronti del lettore.
Ambientata a partire dagli anni del boom economico italiano del dopoguerra, la vicenda della famiglia Polizzi è raffigurata all’interno del libro nella figura di una spirale, che compare all’inizio di ogni capitolo e sulla cui linea vengono segnate diverse date, una per ogni episodio significativo per lo sviluppo del racconto.
Il punto centrale della spirale coinciderà, nell’ultimo capitolo, con il ritorno al tempo presente, ai giorni che seguono la morte di Pietro e alla decisione di Ines di fingere che nulla sia accaduto.
Mano a mano che la spirale si attorciglia su se stessa, la vicenda si inabissa nei territori inquinati del non detto: scopriamo così che Ines sposa Pietro per cercare la stabilità dopo un amore indimenticabile ma senza futuro, che Pietro prova nei confronti di Ines una totale devozione silenziata dall’incapacità di comunicare, che Vittorio diventa adulto seguendo un percorso tracciato per lui dalla madre Ines, e che Riccarda al contrario del fratello sceglie l’allontanamento dal nido familiare per poter trovare la propria via.
Tema centrale nelle vite di ognuno è la rinuncia, l’arrendersi davanti a qualcosa che ritengono eccessivamente al di fuori della propria portata e il cui rimpianto è destinato a intorbidirne le esistenze.
L’unica eccezione è rappresentata da Riccarda, la «figlia sbagliata» del titolo.
Sbagliata fin dal nome tipicamente maschile, pensato dai genitori per un secondogenito maschio e adattato a lei per pigrizia, si abitua presto a tradire le aspettative materne.
La sua rinuncia al dialogo con la famiglia è necessaria per scegliere in autonomia quale posto occupare nel mondo.
Raffaella Romagnolo indaga i rapporti fra i membri della famiglia Polizzi attraverso la narrazione di un’Italia provinciale, senza connotati, immobile.
Un paese che ha costruito la propria identità post-bellica su un codice di valori piccolo borghesi fatta di tinelli come gabbie, vacanze stessa spiaggia stesso mare, lunghe digestioni post-pranzo, mamme di professione e padri bisillabici.
L’odore del sugo dimenticato a cuocere sul fornello, il sapore appiccicoso della pasta al burro, il lessico familiare influenzato dal linguaggio televisivo: riferimenti ad un immaginario collettivo utilizzati con abilità dall’autrice per condurre il lettore all’interno di quella che si potrebbe definire l’eterna «domenica della vita», per dirla con Queneau.
La figlia sbagliata esplora una realtà piccola ma universale, dove i legami parentali spesso si trasformano in vincoli claustrofobici.
Un argomento sviscerato all’interno della narrativa italiana in tutti i modi possibili ma che Romagnolo riesce a trattare mettendo in luce (o in ombra) nuovi aspetti, grazie ad uno stile asciutto e ricercato, cucito su misura per ogni personaggio che appare sulla scena.
«Pensava non ci fosse più niente da dire, invece qualcosa c’era», pensa Ines ad un certo punto del romanzo.
Una legge che vale tanto per le relazioni quanto per la letteratura.
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Fonte immagine: http://www.culturaesviluppo.it/wordpress/wp-content/uploads/2015/05/LA-FIGLIA-SBAGLIATA-COPERTINA.jpg