La giornata tipo di una direttrice editoriale: intervista a Federica Manzon
Scrittrice di romanzi, editor di narrativa italiana e poi straniera per Mondadori, collaboratrice per “Tuttolibri” e “Il Piccolo”, insegnante alla Scuola Holden di Torino. Oltre a tutto questo, Federica Manzon, a partire dal 30 gennaio 2023, è anche direttrice editoriale di Guanda e in questa intervista ci racconta come si svolge il suo lavoro e quali cambiamenti ha attraversato la casa editrice nel tempo.
Buongiorno Federica, sono molto felice di averla qui. Parto subito con la prima domanda: secondo lei quali sono stati i cambiamenti principali in Guanda dalla sua fondazione fino ad adesso? Che visione ne ha ora come direttrice editoriale?
Dunque, in realtà l’editoria è un settore che ha tempi lunghi, i programmi si fanno l’anno precedente, quindi i cambiamenti arriveranno a partire da quest’anno. Posso dire che non si tratterà di trasformare l’anima di Guanda, ma piuttosto di tradurre nel presente la sua grande tradizione letteraria con l’acquisizione di nuovi autori dal mondo straniero ma anche italiano. Negli ultimi trent’anni la casa editrice si è focalizzata principalmente sulla letteratura straniera, senza vincoli di paesi o lingue, ma andando a cercare di volta in volta voci che rappresentassero uno scarto, una deviazione dai terreni più battuti, romanzi che avessero al proprio cuore un’anomalia sorprendente. Per il futuro intendo seguire questo solco, e il mio sguardo sarà rivolto in modo particolare agli autori europei e latino-americani, continuando a cercare romanzi che interroghino il nostro presente in modo non scontato, da angolature meno battute ma con la forza di parlare a un pubblico grande. Accanto alla letteratura straniera, ci dedicheremo con cura e attenzione maggiori alla letteratura italiana, anche qui andando alla ricerca di nuovi autori che possano ben dialogare con la tradizione internazionale di Guanda, come già fanno scrittori come Helena Janeczek e Bruno Arpaia. Da qualche anno è stata aperta “Guanda noir”, una collana dedicata al genere che vede nomi come Gian Andrea Cerone, Marco Vichi e Gianni Biondillo. Questa è una linea che continuerà e verrà sostenuta. Ci tengo però a dire che Guanda nasce come casa editrice di poesia. Quella è una caratteristica che è sempre rimasta, ma si è andata un po’ affievolendo nel tempo: dall’anno prossimo abbiamo intenzione di rilanciarla.
Con quali criteri scegliete come pubblicare un libro di narrativa italiana? E, in particolare, come vi muovete nel caso degli esordi?
Esordienti non ne pubblichiamo molti, due o massimo tre all’anno, perché richiedono un grande lavoro se non si vuole che le pubblicazioni cadano nel nulla. Nell’acquisire un libro, che sia di narrativa italiana o straniera, le caratteristiche per me sono sempre due: ci deve essere un’invenzione di lingua, di stile, un’attenzione alla forma (anche se non siamo più negli anni in cui si può dividere forma da contenuto), e ci deve essere poi anche un’idea di storia. Io non amo molto i romanzi ombelicali, preferisco quelli che guardano all’altro, ad altri pezzi di mondo. Non è semplice, perché forse il novanta per cento della letteratura italiana che leggiamo adesso è autofiction, o meglio, autobiografia. La maggior parte dei manoscritti che arrivano hanno un cuore autobiografico. In linea generale posso dire che a Guanda non puntiamo mai ad acquisire singoli libri, ma sempre autori.
Il nostro è un master in cui cerchiamo anche di analizzare e comprendere i mestieri dell’editoria. Le andrebbe di raccontarci la sua giornata tipo come direttrice editoriale?
La mia giornata tipo è molto ricca. Io mi occupo sostanzialmente di tre cose. Prima di tutto delineo una strategia: che tipi di libri vogliamo pubblicare, in che direzione andare, quali autori italiani e stranieri vogliamo acquisire. A questa fase segue quella acquisitiva, di lettura e valutazione, e poi c’è la fase di publishing: la faccia esterna del libro, l’idea grafica, l’organizzazione in collane, le bandelle, sempre in costante contatto con l’ufficio marketing e comunicazione e commerciale, per far sì che tutte le parti che progettano il libro possano lavorare nel loro settore al meglio. In Guanda questo avviene in maniera molto sinergica, sempre in squadra. Il mio obiettivo finale è far sì che l’idea editoriale arrivi in maniera più limpida possibile ai librai e ai lettori.
In cosa si distingue Guanda rispetto ad altre case editrici italiane storiche come Feltrinelli, Mondadori, Einaudi? Come definirebbe la sua specificità, quali sono i suoi autori più significativi?
Guanda, fra le case editrici grandi, è forse l’unica che si può permettere di pubblicare solo letteratura, e non intrattenimento, anche perché è un campo presidiato benissimo da altre case editrici all’interno del gruppo editoriale Mauri Spagnol. Non serve quindi farsi concorrenza interna, e questo è un privilegio. Alcuni dei nostri autori più importanti sono Javier Cercas e Fernando Aramburu, Anne Tyler e Jonathan Safran Foer, ma anche Luis Sepulveda, uno degli ultimi di grande pubblico e di bandiera per la casa editrice. Sono autori e autrici i cui libri hanno sempre dei punti di anomalia, di stranezza. Nessuno si sarebbe aspettato che Guanda potesse pubblicare una fiaba come La gabbianella e il gatto, o un libro scandaloso come Trainspotting. Sono, questi, libri che deragliano, ma che parlano comunque a un pubblico grande. Guanda, infatti, non ha una vocazione a pubblicare autori particolarmente sperimentali.
Lei è anche scrittrice: come la influenza questo nel suo lavoro?
Il lavoro editoriale non è utile per il lavoro di scrittore, anzi, ma quello di scrittore è molto utile per il lavoro editoriale, perché si conoscono la fatica e le paure dello scrivere. Io cerco di essere sempre veloce nel leggere un testo, perché la cosa migliore che si possa fare per un autore italiano è dargli una risposta il più presto possibile. In più, da scrittrice, condividere con un autore delle soluzioni su cui hai già riflettuto, delle vie che hai sperimentato, degli autori a cui guardare, è una cosa sempre utile. Il mio lato autoriale poi mi ha convinto dell’inutilità di lavorare sui testi con un editing che stravolge i libri: credo che le intuizioni originali, anche in termini commerciali, arrivino sempre dall’autore, che chi scrive sia sempre più bravo dell’editore nel creare la storia e quindi rimaneggiare a fondo un testo sulla base dell’idea editoriale mi sembra una via poco efficace, che rischia di portare poi a testi tutti simili. Eppure, al tempo stesso, credo che sia importante per l’autore avere qualcuno con cui confrontarsi, capire come valorizzare i punti forti, le cose sottotraccia, togliere le incrostazioni dovute al primo sforzo di scrittura. Conservando intanto la propria scintilla creativa. Questo per me è il lavoro di editing.