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Un viaggio attraverso l’officina di un poeta

di Diletta Rostellato

Leopardi a Trieste con Virgilio Giotti
A cura di Anna De Simone

Collana: Biblioteca
Interlinea, 2015
p. 168, 15 €

Leopardi a Trieste 180«È quanto mai bello che la Silvia venga come a simboleggiare la Speranza, come a fare un tutt’uno con quella. Chi con cui poi dice d’aver ragionato è la Silvia. Chi cadde all’apparir del vero (il vero, tutt’uno con la malattia) è la Silvia. Essa indicava una tomba ignuda; la sua sebbene simile a quella che attende il poeta e tutti». La nota, scritta ai margini di un’edizione Le Monnier del 1851 dei Canti di Leopardi, è di Virgilio Giotti.

Il triestino, autore di alcuni dei più bei versi dialettali del Novecento, chiosa, si interroga e riflette sul testo dei Canti che, come scrive Anna De Simone in Leopardi a Trieste con Virgilio Giotti (Interlinea 2015), si trasformano nell’ «officina di un poeta», nel momento di un dialogo che inciderà profondamente nella sua opera.
Dal perpetuo sentimento della morte ai cromatismi pittorici dei paesaggi, la poesia classica di Leopardi filtra paradossalmente nel vernacolo di Giotti che la fa propria, senza tuttavia venir meno all’istanza democratica della tradizione letteraria dialettale.

Seguendo la parabola umana e poetica dell’artista, poeta e pittore triestino, Anna De Simone rintraccia il filo leopardiano anche quando sembrerebbe ormai perso. Ma è proprio attraverso le ricordanze delle primavere passate che Giotti, anche nei momenti più bui della tragedia del Novecento, torna a dare vita al poeta di Recanati. «La lezione leopardiana è penetrata in profondità nella mente e nell’opera di Giotti, che ne ha fatto cosa sua, accogliendola nella propria concezione del mondo e della vita».

Fonte foto: http://www.interlinea.com/schedenovita/LeopardiaTrieste.htm