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Tradurre, tradire, titolare. Analisi della traduzione italiana del titolo del libro “Beautiful World, Where Are You?” di Sally Rooney

Prendete una versione qualsiasi del Die Götter Griechenlands di Schubert – personalmente preferisco quella cantata da Dietrich Fischer-Dieskau e accompagnata col piano da Karl Engel, ma fate voi – e non potrete ignorare la profonda malinconia del primo verso. Dubito faccia bene all’articolo cominciare con tante parole tedesche, ma permettetemi ancora quest’incursione. Il verso con cui comincia la canzone è «Schöne Welt, wo bist du?» che, in maniera semplificata, è tradotto con: «bel mondo, dove sei?». Ecco, ora chiudo la mia filippica alemanna.

Poi, che il testo musicato da Schubert derivi dall’omonima poesia di Schiller ve lo risparmio. Anche se ci sarebbe qualcosa da dire, quantomeno sul bel mondo cui si riferisce – che per inciso è quello greco –, ma andiamo al punto. Il verso che ho citato è stato preso a prestito da Sally Rooney per il suo terzo romanzo, Beautiful World, Where Are You?, uscito in Italia l’8 marzo 2022, dopo quattro anni di trepidante attesa per il nuovo lavoro di quella che è già stata definita come la voce di una generazione dimenticata (Y o Millennials, che dir si voglia). Per i tipi di Einaudi esce nella traduzione di Maurizia Balmelli, la penna che aveva già reso in italiano gli altri due romanzi di Rooney. Il titolo suona così: Dove sei, mondo bello? E sulla questione, adesso, ci ragioniamo. 

Non pensi che il problema del romanzo contemporaneo sia semplicemente il problema della vita contemporanea? Sono d’accordo che sembra volgare, decadente, persino epistemicamente violento, investire energie nelle banalità del sesso e dell’amicizia quando la civiltà umana sta per crollare. Ma allo stesso tempo, è quello che faccio ogni giorno.

 

Mi scagiono citando dal romanzo: il mondo crolla e mi occupo della traduzione di un titolo. Ma forse le questioni non sono così sconnesse come sembrano. 

Lasciamo perdere la versione tedesca, perché il calco inglese, complice la comune derivazione linguistica, è abbastanza fedele all’originale (che poi cosa vorrà mai dire questo “fedele”). È innegabile, anche nel titolo di Rooney, una certa malinconia nei confronti di un mondo più bello rispetto a questo, sentimento dato senz’altro dal vocativo Beautiful World: sentite come lo si sta cercando, il bel mondo, proprio come qualcosa che si è perso. È la stessa sintassi che utilizziamo quando cerchiamo il nostro gatto: «Micio, dove sei?». Si sente, credo, l’esattezza della mancanza e al contempo la tensione della ricerca. 

C’è anche una faccenda di allitterazione che collega le due parti della frase, quella w ripetuta che getta un ponte liquido oltre la virgola: World, Where. In tedesco risuona meno, perché il fonema è più simile al suono secco della v… ma avevo detto che avremmo lasciato perdere. Ora sentite la poeticità ostentata della traduzione del titolo in italiano: Dove sei, mondo bello? È chiaramente una sintassi poetica. Sfido chiunque di voi a chiamare il proprio gatto scappato da giorni gridando in giardino e per le strade: «Dove sei, micio bello?». 

Cosa si perde, in una traduzione così? Probabilmente nulla. Probabilmente è solo un po’ farraginosa, meno confidenziale, si lega strettamente al linguaggio poetico.  Niente di che, tutto sommato arriva da una poesia e Schiller magari ne sarebbe stato contento. Ma torniamo un momento al senso: il titolo originale comincia interpellando proprio quel che si è perso, interroga direttamente il mondo, lo chiama in causa. Sembra quasi che Schiller, in verità, abbia dimenticato per un attimo la precisione poetica proprio in favore dell’emozione – di una certa disperazione per ciò che ha perso. D’altronde è quello che si chiedono i protagonisti lungo tutto il racconto senza mai farlo esplicitamente. «Dove sei, mondo bello?», come se fosse andato da qualche parte e non fosse responsabilità loro l’averlo perduto. Come se non fosse responsabilità nostra, mi verrebbe da dire.

 

Alessandro Tacchino