Utopia Editore: la sfida di una nuova casa editrice | Intervista a Gerardo Masuccio
Con il termine “utopia” si indica un ideale o un progetto irrealizzabile, qualcosa di lontano dalla realtà, un’illusione. Così non è stato per un gruppo di sette ragazzi, tutti sotto i trent’anni, che poco più di un anno fa, in un periodo difficile tra distanziamento e chiusure, hanno deciso di fondare una nuova casa editrice. E di chiamarla, appunto, Utopia.
Utopia è una casa editrice di narrativa e saggistica con sede a Milano, che ha come obiettivo quello di proporre letteratura di alta qualità e si presenta, come si legge sul sito, con l’idea ambiziosa di non proporre i libri che si vendono, ma di vendere i libri che si devono proporre.
Per conoscere meglio questa nuova realtà editoriale ho rivolto qualche domanda all’editor Gerardo Masuccio.
Partiamo dall’inizio: quando è nata la casa editrice Utopia? E, soprattutto, quando vi è venuta l’idea di fondare una nuova casa editrice?
La casa editrice giuridicamente è nata a gennaio 2020 e le prime comunicazioni al pubblico a proposito della sua esistenza sono avvenute nella tarda primavera dello stesso anno, mentre i primi libri sono arrivati in quasi tutte le librerie d’Italia a settembre: al momento sono stati pubblicati sei volumi, ne abbiamo in preparazione una trentina.
L’idea, vaga, di fondare una casa editrice è cresciuta con me. Ho iniziato a lavorare piuttosto giovane nell’editoria e ho sempre saputo che tutta quell’esperienza sarebbe stata finalizzata in qualche modo alla realizzazione di questo progetto, alla fondazione di una casa editrice, di cui potessi essere, insieme ad altri, alla guida: nel caso specifico io sono il direttore editoriale e la squadra al momento conta sette persone.
L’idea più circostanziata è nata verso settembre 2019: noi ci eravamo già incontrati, pensavamo che fosse difficile affermarsi, soprattutto per i giovani, nell’editoria tradizionale, quella “grande”, e così, quando ci siamo accorti che c’erano le condizioni ambientali per fondare una piccola casa editrice e soprattutto una programmazione dal punto di vista editoriale, è bastata una telefonata e siamo partiti.
Come si fa a creare una casa editrice in un momento, come questo, di crisi editoriale?
Se la casa editrice si chiama Utopia, di certo non ci aspettavamo di muoverci in un mercato che fosse una terra promessa. Il mercato dell’editoria è sicuramente in compressione e questo obbliga, in particolare chi sta muovendo i primi passi nel mondo editoriale, a grandi sfide.
Pensavo che in qualche mondo ci fossero ancora dei lettori profondamente insoddisfatti nel rapportarsi ai cataloghi delle case editrici, che a volte mancano di identità: libri interessanti e “libroidi” convivono nei cataloghi di molte realtà editoriali, con poche nobili eccezioni. Sembra che la coerenza sia superflua, io invece credo all’editoria come a un’opera intellettuale: i bilanci sono certamente importanti, ma devono rimare con la poetica dell’opera.
E a proposito di cataloghi, qual è l’idea che anima Utopia? E come vengono scelti gli autori e i titoli da pubblicare?
Il tentativo è quello di selezionare solo letteratura di alta qualità, senza compromessi commerciali, con un’attenzione particolare alle aree linguistiche che negli ultimi decenni sono state trascurate. Una tendenza della nostra editoria è quella di favorire l’anglofonia, la francofonia e, più in generale, il mondo europeo, con totale indifferenza per certe aree del mondo, come il Brasile, l’Indonesia, l’India o la Corea. Introdurre anche queste letterature è sicuramente uno dei punti editoriali di Utopia.
Poi, certo, abbiamo pubblicato qualche classico perché l’idea fondamentale è quella di recuperare classici della letteratura del Novecento da affiancare a scoperte nuove: abbiamo iniziato per esempio con Massimo Bontempelli, premio Strega nel 1953, e Camilo José Cela, premio Nobel per la Letteratura, proprio perché volevamo che in un progetto giovane ci fossero anche dei grandi colossi della letteratura recente che dessero autorevolezza alle nuove selezioni, che a loro volta danno freschezza ai classici.
Il tentativo è, dunque, quello di proporre letteratura di alta qualità: il target a cui vi rivolgete è necessariamente un lettore colto?
No, penso che ogni opera abbia diversi livelli di lettura: la letteratura è sempre accessibile a tutti, a livelli diversi e con connotazioni che magari qualcuno non coglie, ma la letteratura rivela la profondità dell’uomo e in qualche modo tutti avvertono una parentela con quanto detto dall’autore.
Passiamo ora all’aspetto grafico: quello che salta all’occhio, guardando i vostri libri, è la cura per i materiali e la grafica. In particolare, le copertine dai colori audaci non passano di certo inosservate: hanno un significato?
Innanzitutto c’è una matrice ideologica anche in questo caso: le copertine rimandano, quanto alla struttura, alla sezione aurea, che in qualche modo è asintotica, c’è una tensione verso il perfetto, che però irrimediabilmente inciampa nell’imperfezione. È l’utopia appunto: il grande progetto idealistico, una volta riportato nel mondo, non può essere perfetto come si sperava.
Inevitabilmente poi ci sono alla base anche degli studi di marketing. La copertina è parte essenziale della presentazione, ma punta al contempo a risaltare all’occhio del lettore che, tra migliaia di volumi in libreria, deve soffermarsi su qualcosa che si lasci notare: un elemento importante, dal punto di vista del marketing e dell’economia, è sicuramente la riconoscibilità e questo vale anche per l’editoria.
Un’ultima domanda. La casa editrice, come abbiamo detto, nasce all’inizio di un periodo piuttosto difficile: come avete contrastato il lockdown e la chiusura delle librerie?
I primi mesi senza troppi problemi perché era una fase di programmazione, quindi ciascuno ha potuto lavorare da casa propria. Poi da settembre abbiamo seriamente temuto che la pandemia, ondata dopo ondata, potesse inficiare la riuscita del progetto. Se avessero chiuso di nuovo le librerie a ottobre o novembre, avendo pubblicato i primi libri a settembre, questo avrebbe comportato una morte sul nascere di tutto il lavoro.
Per fortuna non è stato così. I lettori hanno accolto positivamente questa novità e hanno iniziato a comprare i nostri libri, però certamente l’assenza di eventi e di incontri da un lato è frustrante, e dall’altro, inutile negarlo, svilisce anche il business: forse la soluzione all’impresa, ancora una volta, è nel nome!
Martina Fracarolli