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Quello che non ti dicono di Mario Calabresi 

«Ricostruire nei dettagli quel che è successo negli anni settanta è un’illusione» scrive Mario Calabresi, che quegli anni li conosce bene, e che di quegli anni porta il peso più ingombrante: la morte del padre – il commissario Luigi Calabresi – ucciso in un agguato da terroristi di Lotta Continua nel maggio del 1972. Il giornalista, già direttore di “La Stampa” e “la Repubblica”, pensava di aver dato, di aver già chiuso (con Spingendo la notte più in là, Mondadori 2007) un capitolo della sua storia personale, che è anche quella dell’Italia degli anni di piombo. Si sbagliava. Nel febbraio 2019, alla presentazione del suo ultimo libro, ad aspettarlo c’è Marta, che non è andata fin lì per averne una copia firmata ma per una richiesta ben precisa: «Mi aiuti a scoprire chi era mio padre? Non l’ho mai conosciuto, ma è sempre con me».

Nasce così Quello che non ti dicono, pubblicato da Mondadori nella collana “Strade blu”, con cui l’autore torna negli anni settanta e ne rivive tutto il peso della memoria, delle vittime e degli effetti collaterali. Un libro che è anche un’inchiesta, una ricerca di quella verità che viene ancora negata. Sì, perché racconta la storia del padre di Marta, Carlo Saronio, rapito e ucciso nell’aprile del 1975 da criminali comuni e da appartenenti alle frange di Potere Operaio, a soli 26 anni, senza sapere che la compagna, Silvia, aspettasse una bimba da lui.

Mario Calabresi ricostruisce quindi i tasselli di una vicenda mai del tutto risolta e quasi dimenticata, «sepolta nella memoria della città», rilegata dalla stampa alle pagine di cronaca, oscurata tra le tante notizie di sequestri che occupano brevi ritagli di giornale: solo a Milano è l’ottavo rapimento dall’inizio dell’anno, anche la polizia alla denuncia non si scompone, quella è ordinaria amministrazione.

Con la meticolosità di un investigatore e una scrittura lucida, l’autore ricompone pezzo dopo pezzo la figura di un ragazzo che per anni è rimasta avvolta nel silenzio, complice una famiglia che non ha voluto far luce su molti aspetti della storia di Carlo e della sua scomparsa. Per più di quarant’anni Marta ha avuto paura di fare domande, ma ora sapere chi davvero fosse suo padre le serve per conoscere se stessa e per andare avanti.

Ciò che emerge è il ritratto di un ragazzo che ha vissuto tutta la sua breve vita cercando di espiare una colpa che sentiva addosso da sempre. E il peso di questo tormento lo si intravede già dal suo sguardo malinconico dietro le lenti spesse degli occhiali e dal suo sorriso timido, mentre ci guarda dalla foto di quando era bambino in copertina. Carlo è figlio della «Milano Bene», di quei potenti industriali che detengono la ricchezza della città e del Paese. È l’erede dei Saronio, famiglia benestante proprietaria dell’omonima industria chimica, fondata dal padre Piero, e di ingenti possedimenti terreni. Cresce nel palazzo di Corso Venezia 30, ha una tata, riceve un’istruzione privata e approda alla scuola pubblica solo da adolescente, quando si iscrive al liceo classico Parini e poi a Ingegneria al Politecnico. Ed è qui che inizia a conoscere il mondo: incontra Silvia, ascolta i Led Zeppelin e viene a contatto con l’area cattolica del movimento studentesco.

Carlo però si sente diverso. Si vergogna della propria ricchezza, vuole essere uguale agli altri e per farlo si libera di quello che ha, cerca una missione per redimersi, si dona a una causa, a chi ha di meno ed è in cerca di rivalsa. Esce quindi dalle stanze del suo palazzo e va nelle periferie, a Quarto Oggiaro, il quartiere operaio a nord-ovest di Milano. È introverso ma anche curioso, vuole scoprire realtà per lui nuove, mescolarsi con il mondo popolare, entrare negli appartamenti proletari e nelle aule delle scuole serali. È spinto da un senso di  giustizia sociale, che col tempo lo porta a entrare nel gruppo politico di estrema sinistra Potere Operaio, da cui si distaccherà il nucleo del Fronte Armato Rivoluzionario Operaio, che nella persona di Carlo Fioroni – amico di Carlo, rifugiato e nascosto più volte a casa sua in clandestinità – lo tradirà, sequestrandolo a scopo di estorsione e uccidendolo con una dose letale di cloroformio.

Quella di Carlo è una storia oscura, ancora sconosciuta e dolorosa, perché non c’è solo la questione politica e il tradimento, ma anche la complessa realtà familiare. Ed è una storia privata quanto pubblica, perché riporta a galla un ragazzo generoso, innamorato della vita e della propria ragazza, Silvia, che perde il compagno e cresce da sola una figlia. È quindi anche la storia di Marta che vuole comprendere e cercare la verità. È la storia di Piero, suo cugino, che la accompagna in questo cammino. È la storia di tutti, anche di chi in quegli anni non c’era, perché è la storia di un Paese dilaniato dal piombo e dalle bombe, che ne porta ancora le cicatrici, e con cui non riesce a fare i conti. Un Paese che dà verità giudiziarie amputate e non si sforza di ricostruire una verità storica da poter consegnare con deferenza alle vittime e ai loro familiari che quindi nell’attesa si arrangiano, perché poi «Quello che non ti dicono, alla fine te lo vai a cercare».

Marianna Mancini