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Sopra (e sotto): il viaggio verso la Casa Blu

di Lorenzo Cetrangolo

Massimiliano Governi
La casa blu
Collana: Assolo
Edizioni E/O, 2016
p. 141, 10 €

Casa bluStrana creatura questo agile romanzo dialogato di Massimiliano Governi, La casa blu: un uomo senza nome e suo figlio in auto verso Pfäffikon, in Svizzera, dove un centro per l’eutanasia li attende.

Lasciamo al lettore scoprire quale sarà il fine di questo viaggio (o la fine): nel mezzo restano brani di dialogo, confronti sulla musica, l’amore, le serie TV, la malattia, la vita e la morte, in cui i due lentamente si (ri)scoprono, si annusano e si misurano, con un paio di svolte narrative che a un tratto giungono a rimescolare le carte in tavola e mantenere alto il ritmo.

La casa blu è un romanzo in salita, spezzettato e straniante, scritto in una prosa immaginifica e assai curata, che prende spesso il volo verso reti di rimandi simbolici. La prima metà risulta quasi inverosimile, meccanica, soprattutto nella voce del figlio, un quindicenne totalmente irreale, che si esprime in maniera stonata, fin troppo matura e intensa, facendo quasi dubitare della sua realtà come entità autonoma dal padre, uomo colto, sofferente ma curioso, divorato dall’esistente e che pure in certa misura lo divora – e non è chiaro quale dei due aspetti sia potenzialmente più distruttivo. A partire dalla seconda metà del romanzo, però, l’armonia si ricompone: per abitudine o per cambio di prospettiva, filtra finalmente il senso del viaggio e insieme del racconto, del suo essere così frammentato, evocativo: è una storia che vuole raccontare le “Cose Ultime”, in primis la morte (potremmo dire: come ogni storia), ma vuole farlo mantenendole sempre appena fuori dal campo visivo, per risonanza quasi, attraverso un velo che è, appunto, la parola (o la musica, o le serie TV: l’arte, se vogliamo).

La sofferenza, le difficoltà quotidiane, la morte imposta o scelta, gli errori, la vendetta, il male, ma anche il bene, il bello dell’amore, della natura e della cultura, delle piccole cose, il rapporto tra padre e figlio, il perdono, tutto viene fatto rifrangere in un prisma luminoso ma mai accecante, al contrario: estremamente soffuso. Un prisma attraverso il quale la storia diventa quasi allegoria, insieme di elementi che sempre rimanda ad altro e sempre ci tiene con gli occhi sulla pagina, non tanto per sapere dove e come andrà a finire la vicenda, ma per il gusto e la necessità di cogliere i tanti riflessi che raccontano, indirettamente, il confine tra noi e noi stessi, o tra noi e il mondo, o tra noi e il non-più-noi: che tali riflessi giungano da una canzone di David Bowie, dalla figura del Rust Cohle di True Detective o dai succulenti luxemburgerli Sprüngli tutto sommato non importa.

I dialoghi (che sarebbe a dire, data la natura del romanzo, il testo quasi nella sua interezza) sono forse eccessivamente compassati e ipo-realistici, ma nel complesso non inficiano la percezione di questo senso di scoperta, che si nutre di una continua stratificazione, seppur ellittica. Forse, paradossalmente, ne sono un effetto necessario, per quanto possano suonare inverosimili e per qualcuno magari fastidiosi: densi e vuoti insieme, come schiuma, come gli ultimi momenti prima di morire, come sarebbero i discorsi tra un padre e un figlio in un mondo più esplicito e trasparente e quindi disumano, quale non è il nostro.

La casa blu insomma va affrontato non come la traccia lineare di un viaggio, ma piuttosto come un crocevia di spunti su ciò che sta alla fine del viaggio (o molto sopra; o molto sotto). Di ogni viaggio, s’intende: e soprattutto del Viaggio. Governi riesce a lanciare uno sguardo diagonale ai dettagli e alle piccole cose che non sono poi, scopriamo, così piccole, e anzi si portano dentro tutto il resto; uno sguardo che, nella sua obliquità, sfiora appena il reale, per vederci attraverso e tornare cambiato.

Fonte Foto:http://www.edizionieo.it/spool/cover_9788866327073_1546_600.jpg